Cultura

Gli azzurri in rosso

  • Abbonati
  • Accedi
la davis in cile, 1976

Gli azzurri in rosso

Trionfo. Nicola Pietrangeli, il capitano, al centro,  con Adriano Panatta (a destra) e Corrado Barazzutti, alzano l’insalatiera d’argento appena conquistata contro il Cile il 18 dicembre 1976
Trionfo. Nicola Pietrangeli, il capitano, al centro, con Adriano Panatta (a destra) e Corrado Barazzutti, alzano l’insalatiera d’argento appena conquistata contro il Cile il 18 dicembre 1976

Diciotto dicembre 1976: i due tennisti azzurri si preparano a giocare il doppio decisivo della finale di Coppa Davis contro gli avversari cileni, nello stadio Nacional di Santiago. Si tolgono il giubbino della tuta rivelando, a sorpresa, un’abbagliante maglietta rossa che farà storia almeno quanto la vittoria di quella partita, portata a casa in 4 set. Un colpo di teatro che mette a tacere mesi di polemiche, proteste e accuse per aver scelto di giocare al cospetto del dittatore Pinochet, legittimandone il colpo di Stato di tre anni prima. Vestirsi di rosso, aveva pensato Adriano Panatta e Roberto Bertolucci era stato d’accordo, significava mandare un messaggio preciso, politico prima ancora che simbolico. Voleva dire stare da una parte, in maniera inequivocabile.

Tutto questo racconta Dario Cresto-Dina in Sei chiodi storti (66thand2nd) accompagnando il lettore nel clima di quegli anni: attorno a un momento irripetibile del nostro tennis, l’autore ricostruisce con pennellate lievi la dimensione politica e sociale di una stagione piena di contrasti. Il ritmo è scandito dal calendario della Coppa Davis e dalla cavalcata verso il successo dei ragazzi italiani, giovani, diversissimi per carattere, identità e talento, imbrigliati da un capitano carismatico e ingombrante come Nicola Pietrangeli d’un lato, motivati con più dolcezza dal direttore tecnico Mario Belardinelli dall’altro. Quando si capisce che Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli possono sul serio arrivare in finale – grazie anche a una propizia assenza di Bjorn Borg nella sfida con la Svezia, superata agli ottavi – comincia un’opposizione alla trasferta in Cile, a vari livelli: i militanti di sinistra si scagliano contro una coppa insanguinata, la maggior parte della stampa ammonisce la squadra ad anteporre i valori democratici alla gloria, persino il Governo guidato da Andreotti è incalzato dal giovane Bettino Craxi e dal Pci (che poi tornerà sui propri passi): non si vorrà mica andare a giocare dove vige una feroce dittatura? Tutto questo, scrive Cresto-Dina, mentre in Italia il terrorismo ha dichiarato guerra allo Stato e uccide, la disoccupazione è salita, l’industria stenta a ripartire e l’Esecutivo vara una serie di provvedimenti che colpiscono finanze e risparmi (dall’aumento della cedolare secca sui dividendi dei titoli azionari alla supertassa sulle auto diesel). Proprio nei giorni precedenti alle gare, il 7 dicembre, a Milano c’è una prima della Scala molto tesa, con cinquemila carabinieri schierati in piazza e il pubblico barricato ad ascoltare l’Otello.

E loro, i protagonisti? Pensano a giocare e a vincere: «Non esiste la fratellanza, non c’è neppure l’amicizia, ci sono però la forza e l’equilibrio tecnico. La formazione è un mantra come quello del Grande Torino e dell’Inter del mago Helenio Herrera. Panatta e Barazzutti in singolare, Panatta-Bertolucci in doppio». Sono sostenuti da Pietrangeli, che non contempla neppure per un istante l’ipotesi di rinunciare alla Coppa. Gli azzurri spazzano via l’Inghilterra ai quarti, grazie a uno straordinario Zugarelli che entra al posto di Barazzutti malato; poi, a fatica, vincono con l’Australia al Foro Italico. Nel frattempo infuria il dibattito Cile no-Cile sì. E se capitan Nicola avverte che bisognerà ritirargli il passaporto per non farlo partire, che è un’assurdità e un’ipocrisia mescolare sport e politica, Scalfari tuona dalle colonne di «Repubblica» (nata il gennaio di quell’anno) che se si vogliono condannare i delitti contro la libertà del regime di Santiago «l’occasione più preziosa è rifiutare la nostra presenza ai giochi della coppa Davis». Il Governo alla fine darà il via libera, ufficializzando il sì alla Camera proprio il 7 dicembre per bocca di Dario Antoniozzi, ministro del Turismo e dello Spettacolo.

Come è andata in campo lo sappiamo, non certo perché abbiamo una telecronaca. La Rai non mandò nessuno, restano 26 minuti e 42 secondi di pellicola tremolante della romana Luma Film di Gigi Oliviero. Le riprese cilene sono state distrutte da un incendio. Al rientro i nostri non furono accolti se non da parenti e qualche fotografo. Rimase una vittoria dimezzata. Quella Davis, quella squadra sono nel cuore di chi ama il tennis.

© Riproduzione riservata