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Imprudenza dell’Europa

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GIULIO TREMONTI

Imprudenza dell’Europa

Modernità e globalizzazione..  Abraham Ortelius, carta dell’Europa del 1572
Modernità e globalizzazione..  Abraham Ortelius, carta dell’Europa del 1572

«Questa è una bella vittoria, ci abbiamo creduto da tempo. La nostra Europa ha cominciato a nascere qui, tra i confinati di Ventotene». Con queste parole, lo scorso gennaio, il governatore di Roma ha salutato la visita del presidente del Consiglio nell’isola dove gli antifascisti confinati Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, concepirono il progetto di un Europa libera e unita, mentre gran parte del continente europeo era assoggettata alla tirannia della Germania nazista, affiancata dall’Italia fascista. Leggendo le pagine conclusive del Manifesto di Ventotene, è lecito domandarsi se la “nostra Europa”, alle quale hanno fatto riferimento i governanti italiani, sia l’Europa libera e unita alla quale pensavano Spinelli, Rossi e Colorni.

«Con la propaganda e con l’azione, cercando di stabilire in tutti i modi accordi e legami fra i singoli movimenti che nei vari paesi si vanno certamente formando, occorre sin d’ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far nascere il nuovo organismo che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un saldo stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali; e spezzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari; abbia gli organi e i mezzi sufficienti per far eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli stati stessi l’autonomia che consenta una plastica articolazione e lo sviluppo di una vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli. Se ci sarà nei principali paesi europei un numero sufficiente di uomini che comprenderanno ciò, la vittoria sarà in breve nelle loro mani, poiché la situazione e gli animi saranno favorevoli alla loro opera».

La lunga citazione è stata necessaria per mostrare quanto in realtà sia difficile riscontrare nell’Europa vagheggiata dagli antifascisti federalisti i caratteri genetici dell’Europa attuale, che in oltre mezzo secolo certamente ha compiuto passi enormi verso l’unificazione, ma oggi appare invece gravemente ostacolata nel cammino sia della libertà sia dell’unità. Anzi, nell’ultimo decennio, ha cominciato a fare molti passi all’indietro, l’ultimo dei quali è stato il referendum inglese del 23 giugno scorso, che ha deciso l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea.

Alla Brexit Giulio Tremonti ha dedicato un capitolo del suo libro Mundus furiosus, uscito due giorni prima del referendum inglese, sostenendo che quale che ne fosse l’esito, «è tuttavia già assolutamente evidente che gli sviluppi della controversia inglese non sono e soprattutto non saranno limitati al Regno Unito e al suo rapporto con l’«Unione». Fuori dall’isteria che caratterizza i custodi della fede «europea», che già oggi reagiscono come contadini cui è stato maledetto il raccolto, si può infatti prevedere che, indipendentemente dal concreto esito finale del «Brexit referendum», anche se prevarranno gli stay sui leave, e dunque anche se il Regno Unito resterà nell’Unione, proprio nell’Unione si produrranno comunque fortissimi effetti. E, in specie, effetti non solo insulari, ovvero limitati al Regno Unito, ma continentali, ovvero estesi al resto del continente europeo e alla sua attuale organizzazione politica. […] E tutto ciò per una ragione molto semplice. La realtà è cambiata per tutti e non solo per il Regno Unito. Ed è cambiata in peggio».

Il peggio, nella situazione attuale è attribuito da Tremonti alla incapacità dei governanti europei nel guidare la nave dell’unificazione attraverso il «mondo furioso» creato negli ultimi venti anni da fenomeni, che hanno avuto effetti devastanti sulle fragili strutture che uniscono i 28 Stati appartenenti all’Unione europea: la globalizzazione delle economie e dei mercati; la degenerazione della finanza, che ha preso il sopravvento sulla politica imponendo ai governi e ai popoli un ordine imperioso come un tiranno anonimo e irresponsabile, che persegue il bene proprio e non il bene collettivo; le migrazioni di masse che fuggono da povertà e guerre, e premono alle sue frontiere; l’esplosione di un nuovo terrorismo “patriottico” fra le popolazioni già assoggettate al colonialismo europeo; la «rivoluzione digitale» che muta e sempre più muterà, anche antropologicamente, il modo di vivere, di comunicare, di agire, e persino di pensare, delle immense moltitudini anonime di individui isolati davanti al loro computer; le nuove guerre coloniali e le rivalità fra le potenze di terra e di mare per il controllo delle risorse nel pianeta, covando una “terza guerra mondiale”. E infine, il fenomeno più devastante perché esploso nel suo stesso corpo: la crisi generale dell’Europa. «Venti anni fa - osserva Tremonti - tutto questo non c’era. Ma una nota di fondo ispirava il mondo nel suo insieme e sicuramente ispirava l’Europa: una nota di speranza. Anzi, un eccesso di speranza. Ed è stato proprio per questo eccesso di speranza senza prudenza che ora, verso la fine del “glorioso ventennio” della globalizzazione, il vettore della speranza rischia di schiantarsi contro una realtà diversa da quella attesa e molto più dura», perché l’Europa «non è fuori dal mundus furiosus che avanza su tutti questi fronti. All’opposto, ci sta entrando in pieno e, per suo conto, nel modo peggiore». E ciò per effetto delle scelte che sono state fatte nell’ultimo quarto di secolo dai governanti europei, dei quali lo stesso Tremonti ha fatto parte quasi ininterrottamente, dal 2001 al 2011, come ministro dell’Economia e delle Finanze nei governi di Silvio Berlusconi.

All’uomo di governo si può obiettare di non aver saputo in passato contrastare con efficacia l’entrata dell’Europa (e dell’Italia con essa) in quel «mondo furioso», che oggi l’intellettuale descrive con realismo persino impietoso, da esser facilmente tacciato di pessimismo. In effetti, seguendo le sue argomentazioni sulle cause della crisi europea, saremmo tentati di modificare il sottotitolo del libro, sostituendo Il riscatto degli Stati e la fine di una lunga incertezza con Il ricatto degli Stati e l’inizio di una lunga incertezza.

Tuttavia Tremonti sembra voler prevenire la taccia di pessimista, Infatti, nelle conclusioni, riferendosi all’Italia, afferma che se la storia «ci ha fatto molto complessi», è però «proprio la storia che ci dà anche speranza. In fondo (tanto per sdrammatizzare un po’), possiamo notare che la nostra decadenza è iniziata un millennio e mezzo fa … con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, ma poi – appena dopo un millennio – è venuto il Rinascimento. E comunque, anche senza esagerare con l’ottimismo storico (!), se lo vogliamo siamo ancora in tempo per recuperare. E possiamo farlo, soprattutto sulla base di condizioni di impegno che si possono riassumere in due sole ma essenziali parole: verità e serietà».

Che si condivida o meno la sua analisi sullo stato attuale dell’Europa, Tremonti dà comunque materia sulla quale riflettere per cercare di comprendere il «mondo furioso» nel quale viviamo, per essere consapevoli della gravità delle sue sfide, e forse anche per tentare di riprendere la costruzione di un’Europa libera e unita, poggiandola su fondamenta di solida realtà e non di immaginazione, di speranza o, peggio ancora, di ipocrisie e di inganni, perpetrati con la maschera dell’ottimismo. In fondo, nulla impedisce di pensare che se verità e serietà saranno le condizioni del nostro impegno, ci vorrà forse meno di un millennio per l’avvento di un nuovo Rinascimento italiano.

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