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Modernità del Mediterraneo

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A COLLOQUIO CON CYPRIAN BROODBANK

Modernità del Mediterraneo

Le rotte dei pescatoriScena di pesca raffigurata in un dettaglio di mosaico, Ippona, Algeria s.d.
Le rotte dei pescatoriScena di pesca raffigurata in un dettaglio di mosaico, Ippona, Algeria s.d.

Vincere il Wolfson History Prize con un libro che parla di preistoria, non è così scontato. Ma basta incontrare Cyprian Broodbank per capire il perché. È solare, cordiale con tutti: sa davvero parlare a tutti. Conquista con quel volto e quell’espressione quasi da cartone animato, che si addice ai prestigiosi titoli di cui si fregia: Disney Professor of Archaeology all’Università di Cambridge e direttore del McDonald Institute for Archaeological Research. E benché i mecenati che tengono in vita cattedra e istituto, non abbiano relazione alcuna col re dei fumetti e col panino più globale al mondo, forse non è un caso che anche il fondatore del Mc Donald Institute e, a suo tempo, ugualmente titolare della Disney Chair, il celebre Sir Colin Renfrew, abbia un simpatico e solare volto da fumetto. E che entrambi, Broodbank e Renfrew, siano personaggi “globali” come il panino, dalle vedute ampie e capaci di guardare lontano.

Sir Colin ha spiegato che, poiché gli archeologi indagano chi siamo e da dove veniamo, cercano cioè risposte ai grandi interrogativi dell’umanità, possono diventare i veri maîtres à penser del nostro tempo. E Broodbank lo è, senza dubbio alcuno. Nel suo Il Mediterraneo (Einaudi, 2015) si è posto una domanda semplice, basilare: chiunque abbia scritto del Mare Nostrum, ha trattato le sue caratteristiche come dati di fatto. Ma come si sono formate? Com’è nato quel “sistema Mediterraneo” fatto di centri strettamente interconnessi tra loro, dallo sviluppo economico e culturale sorprendente, diventato modello per il mondo intero? Infatti il titolo originale inglese recita proprio The Making of the Middle Sea.

«Persiste tra gli studiosi il mito che non conosciamo abbastanza per affrontare argomenti così generali – racconta a un nutritissimo pubblico alla British School di Roma – ma sarà sempre così. In realtà, sul Mediterraneo abbiamo informazioni che suscitano l’invidia dei colleghi esperti in altre aree del mondo». Dunque bisogna lanciarsi, osare. E lui lo fa raccontando una storia che dall’alba dei tempi giunge fino alla Grecia classica (esclusa), che chiama in causa tutte le scienze partendo sempre dai dati concreti e non dai principi, e non isola mai il Mediterraneo ma lo pone sempre in relazione con il resto del mondo. Anche con il mondo attuale: «Il Mediterraneo della preistoria, microcosmo dove tutto si è formato, è il modello perfetto per aiutarci a indagare il mondo globalizzato in cui viviamo».

Osserva come all’alba dei tempi il Mare Nostrum non fosse affatto un luogo d’integrazione: se lo fosse stato, Homo Sapiens dalla sponda sud e Neanderthal da quella nord non avrebbero impiegato così tanto tempo per entrare in contatto. Ci siamo dovuti adattare alla navigazione che ha preso piede col Neolitico e si è diffusa sempre più, gradualmente. E dall’altro capo della storia, ci fa notare che i Fenici “pionieri”, come noi li chiamiamo, in realtà hanno beneficiato di millenni di esperienza accumulata: non rimanevano troppe aree del Mediterraneo inesplorate, prima dei Fenici.

Messo a confronto con i colleghi in un dibattito sulle piccole isole del Mediterraneo organizzato da Alessandro Guidi dell’Università di Roma Tre, Broodbank ha tenuto abilmente testa a un fuoco incrociato di domande, provocazioni, tentativi di trascinarlo su ogni tipo di terreno storico e intellettuale. Dapprima ha raccontato il “suo” Egeo: una sorta di super-Mediterraneo, un piccolo mare chiuso e costellato da isole. Ha poi ragionato sull’ascesa e declino di originalissime civiltà del terzo millennio a.C. come Cipro o Malta che, contemporaneamente e d’improvviso, sono state riassorbite nel trend dominante: «È il lato oscuro della globalizzazione. Un messaggio allarmante per tutti noi». Ha altresì ampliato l’orizzonte notando come tutte le isole siano state indispensabili per la navigazione e per questo fiorentissime, specie nell’età del bronzo, ma bypassate e abbandonate non appena le reti di comunicazione ampliarono il loro raggio. Parabole simili hanno interessato le isole del Mediterraneo orientale prima, poi quelle centrali, le Baleari e le Canarie, spostando il paradigma sempre più a ovest. In ultima istanza, nel XVI secolo, le isole caraibiche che dopo l’arrivo dei Conquistadores hanno dato vita a un network proprio come le isole mediterranee.

E il Mediterraneo attuale continuerà a essere un mare di relazioni? «Sicuramente. Se in passato ha vissuto sia momenti di confronto che di conflitto, il messaggio preponderante che ne emerge è di un luogo di incontro. Un luogo dove gli stereotipi sono costantemente messi in discussione e vanificati. L’Europa non esiste da sempre ma il Mediterraneo sì. Il confine Grecia-Turchia, per esempio, non è mai stato tale fino all’Ottocento: il vero confine era la costa turca, e infatti lì anticamente sono apparsi i primi filosofi, è nato il pensiero». E quali sono, oggi, le frontiere della ricerca nel Mediterraneo antico? «Abbiamo un grande buco nero, l’Africa del Nord, e infatti assieme a un vostro connazionale esperto di Africa, Giulio Lucarini, e grazie a un finanziamento dal Leverhulme Trust, sto per intraprendere una ricerca proprio sulla storia del popolamento della sponda sud del Mediterraneo». Quale il segreto della sua prosa elegante, accattivante, incisiva? Si dice che Mediterraneo sia uno dei libri più ben scritti degli ultimi anni. «Adoro scrivere. Ho sempre pensato che se avessi fallito come archeologo, avrei fatto lo scrittore».

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