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Perché le fiabe si assomigliano

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Perché le fiabe si assomigliano

C'è chi sostiene che la fiaba, di origine popolare, sia una forma di intrattenimento; la favola, invece, presentando alla fine una sua morale, nasce con altri intenti, soprattutto desidera educare. Stith Thompson, che è stato professore all'Indiana University di Bloomington e che tra il 1955 e il 1958 ha pubblicato l'edizione definitiva in sei volumi del monumentale “Motif-Index of Folk-Literature”, opera che è considerata una pietra miliare sull'argomento, sosteneva che le fiabe popolari hanno grande somiglianza di contenuti nei racconti dei popoli più diversi. Quasi che l'uomo abbia un messaggio universale da affidare a tali racconti.

D'altra parte, studiando gli imbroglioni Thompson si accorse che le affinità dei raggiri sono catalogabili; le burle si ripetono magari con piccole varianti, gli eroi sembrano diversi ma poi, alla fine, si scopre in loro qualcosa di comune. Vi sono insomma dei tipi ricorrenti del folclore letterario, quali l'ammazzadraghi, la principessa rinchiusa in una torre, la borsa magica o quei motivi tradizionali come i tre baci che sanno rompere gli incantesimi. Certo, non manca il bimbo sostituito, le prove imposte a un certo pretendente eccetera.
Tutto questo lo ricaviamo da un'opera di Thompson che è stata riproposta in questi giorni da Il Saggiatore: “La fiaba nella tradizione popolare” (pp. 632, euro 35). Non si tratta dei sei volumi ricordati ma di una rassegna preziosa che mette a confronto infiniti dati e smisurate ricerche. Lo studioso, in tal caso, esamina numerosi Paesi, ricorda il ruolo del genere nella letteratura antica; la fiaba è analizzata nelle culture primitive, nei cicli, nelle storie ricorrenti. Il fabulare diventa arte viva in queste pagine e riflette le espressioni artistiche della fantasia che si sono succedute nel tempo. C'è anche qualcosa di più: un capitolo sui miti della creazione, dall'area californiana a quella eschimese, riserva sorprese sui motivi mitici che ricorrono e si adeguano.
Inseguiamo un passato per capire cosa verrà: la fiaba, se ben interrogata, conserva le antiche storie dell'uomo e mostra come pochi altri racconti desideri, avventure e limiti.
Certo, si può anche credere il contrario, come amava fare con irriverenza Charles Bukowski. Per par condicio riportiamo quanto scrisse in “Compagno di sbronze”: “L'anima non esiste. E' tutta una fregatura. Gli eroi non esistono. I vincitori non esistono − è tutta una fregatura e una gran cagata. I santi non esistono, i geni non esistono son tutte fregature, tutte favole, è così che va avanti il giochetto. Ognuno cerca solo di tirare a campare e d'aver fortuna − se ci riesce. Il resto non sono che stronzate”. Se avesse ragione, le favole altro non sarebbero che una truffa.

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