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Generazioni di emozioni

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Storia

Generazioni di emozioni

Furore. «La rabbia di Giovanni Senzaterra dopo aver firmato la Magna Carta, che limitava i poteri del re, a Runnymede, il 15 giugno 1215». Incisione tratta dall’«Histoire populaire de France», di Lahure, 1866
Furore. «La rabbia di Giovanni Senzaterra dopo aver firmato la Magna Carta, che limitava i poteri del re, a Runnymede, il 15 giugno 1215». Incisione tratta dall’«Histoire populaire de France», di Lahure, 1866

Viviamo in una stagione in cui tutto ciò che vale la pena vivere si presenta anzitutto come un’«emozione»: un film, una partita di calcio, una competizione canora, un piatto o un vino prelibato, un profumo, un’automobile, ma magari anche un gelato, una bibita, una confezione di cibo precotto. Basta crederci, naturalmente. Ma al di là degli eccessi mediatici, dei consumi di massa e delle strategie di marketing, è evidente che emozioni e sentimenti esercitano e hanno sempre esercitato un ruolo decisivo nelle scelte di vita individuali e nelle mobilitazioni collettive delle masse, nelle piccole decisioni quotidiane e nella costruzione dei grandi miti, nelle epopee e nelle tragedie della storia. È dunque possibile – ci si chiede – raccontare la storia delle emozioni, scorgerne i mutamenti nel tempo, coglierne l’incidenza sociale e politica, articolarne una geografia e una cronologia, individuarne specifiche dimensioni di genere, di età, di cultura, di religione, di strutture politiche e sociali?

È possibile, ci spiega questo libro, anche se è molto difficile e a ogni passo si rischia di cadere in qualche trappola. A cominciare dal senso stesso delle parole, poiché le emozioni di cui si legge in testi antichi e recenti (amore, rabbia, odio, invidia, avarizia, cupidigia, curiosità, gioia, tristezza, disperazione ecc.) non hanno sempre avuto lo stesso significato, ma hanno subito modificazioni semantiche, hanno indicato pulsioni in parte diverse. Ma come ricostruirne le vicende, i percorsi, le trasformazioni, e tanto più in un arco di lunghissimo periodo come quello qui preso in considerazione, dal VI al XVII secolo, oltre mille anni di storia, dalla Francia dei re merovingi all’Inghilterra seicentesca due volte rivoluzionaria? Pur limitando la ricerca a questi due Paesi, il campo di indagine è sconfinato e molto varie e non sempre perspicue sono le fonti, a partire dai diversi giudizi sui moti dell’animo formulati da Cicerone e sant’Agostino, creatori di un vocabolario destinato a durare per secoli: trattati medievali sui vizi e le virtù, opere sulle passioni, summae teologiche, scritti storici e agiografici, corrispondenze private. Da tali documenti è possibile desumere «lessici emotivi» la cui analisi consente di cogliere analogie, differenze, evoluzioni, che tuttavia non segnano una frattura tra un immaginario medioevo in balia di sfrenate passioni e un’età moderna in cui i processi di civilizzazione e disciplinamento avrebbero via via introdotto un crescente autocontrollo.

Lungi dal tracciare un’improbabile evoluzione complessiva della sensibilità europea, l’autrice si sofferma piuttosto su quelle che definisce «comunità emotive», gruppi, ambienti, luoghi in cui si instaurano peculiari reti e strategie di comunicazione dei sentimenti in base ai diversi contesti storici, politici religiosi. Ed ecco apparire, sotto la lente d’ingrandimento di una ricerca che da macrostorica si fa microstorica, il contrasto nella Francia merovingia del VI-VII secolo tra l’Austrasia a Nord, la cui corte è teatro di un’intensa vita emozionale, e la Neustria a Sud-Ovest, dove essa appare invece assente o assai attenuata; il sublimarsi delle passioni interiori vissuto dai monaci nel rapporto con Dio e con l’aldilà, tra ansie di salvezza e timori di dannazione che lasciano in secondo piano gli affetti familiari; il trattato sulle virtù e i vizi scritto da Alcuino in età carolingia, vero e proprio «manuale delle emozioni», e la sistemazione filosofica e dottrinale data alle passiones animi oltre quattro secoli dopo da san Tommaso d’Aquino; gli intensi legami affettivi instaurati intorno a sé e alla sua abbazia inglese da Aelredo di Rievaulx; le pene d’amore cantate dai trovatori alla corte di Raimondo V di Tolosa e i grovigli di passioni umane narrate dai cronisti borgognoni; Jean Gerson e la sua teoria musicale delle emozioni, assimilate a un raffinato «canto del cuore»; la drammatica tensione dell’amore per Dio e per Cristo della mistica Margery Kempe, vissuta negli stessi anni e a poca distanza da quella famiglia Paston la cui corrispondenza non sembra invece tradire sentimento alcuno e si incentra solo su fatti, proprietà, interessi; il profondo senso del peccato dei puritani inglesi, ossessionati dalla paura dell’inferno, dal pentimento e dalla malinconia; e per converso le passioni libertarie, le istanze di giustizia e felicità dei Levellers e di altri gruppi settari nel crogiuolo della rivoluzione, fino al pessimismo di Thomas Hobbes, che scaturiva anche da un’acuta analisi dei movimenti dell’animo umano e dalla consapevolezza delle scosse telluriche contro la stabilità sociale e politica che essi minacciano.

Altra cosa, naturalmente, è passare dalla constatazione delle diversità tra le varie «comunità emotive» alla comprensione delle loro cause e del cambiamento nel corso del tempo, che la Rosenwein scorge in una ineludibile differenziazione e disgregazione interna ad esse e al loro comune patrimonio identitario di esperienze e ricordi: qualcosa di analogo, insomma, a quello che avviene nei misteriosi fenomeni di mutazione del genoma umano. Difficile spingersi più avanti nel dare spiegazioni, così come è altrettanto difficile, in assenza di ogni documentazione, cercare di capire quale fosse la vita emozionale della gente comune, lontana dal livello intellettuale e letterario dei testi qui presi in esame e dall’universo di santi, vescovi, poeti, teologi, storici che li scrissero. Studiando i testamenti, per esempio, oltre mezzo secolo fa Philippe Ariès aveva constatato come non di rado l’amore per i figli si instaurasse quando questi avevano già compiuto qualche anno, quando cioè si cominciava a credere che sarebbero sopravvissuti alla falcidie della mortalità infantile e ci si poteva permettere il lusso di amarli. Resta il valore di uno studio pionieristico su un tema oggi al centro di ricerche e discussioni in tutto il mondo: un «emotional turn», è stato detto, alla scoperta di un ennesimo filo rosso tra passato e presente.

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