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Ghiacci bianchi in galleria

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Ghiacci bianchi in galleria

Wolfang Laib. «Reishaus» (1988)
Wolfang Laib. «Reishaus» (1988)

Per il terzo anno consecutivo l'arte contemporanea sale in alta quota e dal 23 luglio al 28 agosto Les Maison de Judith – due baite che dal 1740 sorgono lungo la Dora e ai piedi della catena del Monte Bianco in Val Ferret - ospiteranno l'evento clou dell'estate a Courmayeur. La collettiva si intitola L'Armonia del Bianco e presenta una decina di opere – in gran parte site specific - di maestri di rilievo internazionale, per un'iniziativa di alto profilo culturale. Organizzata dall'Associazione Art Mont Blanc grazie alla passione e alla tenacia di Glorianda Cipolla (che ne è l'anima dal 2010) e in collaborazione con il FAI - Fondo Ambiente Italiano, la mostra è l'occasione per riflettere sul significato del termine che dà il nome alla montagna più alta d'Europa, ma anche al non colore per eccellenza e che tutti li riflette. In un raffinato gioco di parole e di immagini si scopre che non esiste un bianco soltanto e, di qualunque bianco si tratti, esso è sempre una tentazione. La mostra propone, dunque, un intreccio di bianchi e di sensibilità differenti, in cerca di Armonia.

Fin dal Dopoguerra l'arte ci esorta a specchiarci nel bianco: dal Manifesto Blanco firmato da Lucio Fontana (1946) agli Achrome (1960) di Piero Manzoni, dai dipinti di Agnes Martin a quelli di Robert Ryman, dagli spazi di Giovanni Colombo, agli ambienti di Enrico Castellani, la vita dell'uomo può “andare in bianco”, in un'attesa infinita, oppure in una giocosa assenza di peso.

Nelle baite della Val Ferret il bianco diventa il colore della libertà di Emilio Isgrò, che “sbianchetta” tre volumi di inizio 900 sul Monte Bianco (2016); rappresenta il vuoto in Patrick Rickard che realizza White Century (2013) ricoprendo la tela di 100 strati di colore bianco; è lo spazio in divenire “raggelato” nella resina Peeling paints- Cyan (2016) di Loris Cecchini; è la tela ancora da dipingere in Copia dal vero (1975) di Giulio Paolini; è silenzio intenso e poetico in Lawrence Carroll (2000), è luce interattiva e dinamica in Polariscop (1967) di Bruno Munari.

Superficie in cui tutto è possibile, terreno d'ideale battaglia tra il desiderio e l'indolenza, il bianco del fotografo Giovanni Ozzola è un ambiente alpino dominato da ghiacci.

Dal monaco al crociato, dalla novizia alla sposa, il bianco sembra essere stato per secoli il colore dell'obbedienza. Dunque libertà e obbedienza sono bianche, perché in ultima analisi sono la stessa cosa. Essere liberi non significa, allora, fare quel che si vuole, ma fare ciò che è bene per noi. Ovvero ubbidire alla nostra felicità. Anche la felicità è bianca, sembra suggerire il lavoro a pavimento di Wolfang Laib, Reishaus (1988), una capanna circondata di riso che rimanda alla terra-madre nutrice dei suoi figli, ma anche alla forma più arcaica di tomba a inumazione. Come nel carboncino di Fabio Mauri dedicato alla Stanza di Van Gogh (1990), in cui il celebre dipinto della camera da letto del pittore olandese è riprodotto in bianco su bianco; è un'immagine appena percepibile, quasi affiorasse alla memoria dopo la distruzione fisica dell'originale. Coscienza della morte, Il bianco è dunque il colore della vita oltre la vita; è il colore della vittoria, non della resa!

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