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Giotto sotto indagine

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Giotto sotto indagine

Pala d’altare. Giotto e aiuti di bottega, «Polittico Stefaneschi», 1320 circa, Roma, Pinacoteca Vaticana
Pala d’altare. Giotto e aiuti di bottega, «Polittico Stefaneschi», 1320 circa, Roma, Pinacoteca Vaticana

Proviamo a immaginare il polittico Stefaneschi, oggi custodito nella Pinacoteca Vaticana, appena collocato sull’altar maggiore della Basilica di San Pietro. Era l’anno 1320. La testimonianza della paternità e della data è di Giacomo Grimaldi l’archivista della reverenda Fabbrica che, nel 1601, lesse l’iscrizione oggi perduta quando la grande macchina, ancora integra e rimossa dalla collocazione originaria, era visibile nella sagrestia di San Pietro.

Ottocento fiorini d’oro era costato al cardinale Jacopo Caetani Stefaneschi il polittico dipinto sui due lati: San Pietro il Vicario in veste rossa fiammante, le Chiavi d’oro del Regno strette in pugno sul lato versus populum; il Cristo apocalittico della Parusia, Signore del mondo e della storia, dominante il lato posteriore rivolto al clero celebrante. Per una spesa così grande e un così splendido risultato si può capire l’orgoglio del cardinale committente il quale volle farsi rappresentare in ginocchio in atto di offrire la riproduzione miniaturizzata del polittico.

Gli studi di Pietro Zander e la ricostruzione virtuale in 3D fornita da Carlo Volken, ci hanno consegnato l’immagine del presbiterio dell’antica basilica costantiniana: il polittico sull’altare di Callisto II oggi sepolto sotto l’allestimento barocco del Bernini, inquadrato dalle colonne di porfido e schermato da una iconostasi di colonne tortili, i perduti affreschi di Giotto con storie di Cristo a decorare le pareti dell’abside; sotto il polittico, ai piedi dell’altare, la fenestrella confessionis a testimoniare la fede in Cristo e il martirio di Pietro, il primo papa.

Per almeno due secoli il polittico Stefaneschi è stato il cuore della Basilica, svolgeva il ruolo di attrazione che oggi è del baldacchino bronzeo del Bernini. Le generazioni di pellegrini arrivati a Roma ad limina Petri da ogni angolo della Cristianità al pari dei grandi uomini che entrarono in San Pietro (Francesco Petrarca e Niccolò Machiavelli, Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti, Masaccio e Piero della Francesca, Jean Fouquet e Rogier Van der Weyden, Ludovico Ariosto e Martin Lutero, Raffaello e Michelangelo) vedevano il polittico lucente di lacche preziose e di vernici colorate come un immenso smalto champlevé, li attirava la macchia rossa del San Pietro in trono, sostavano davanti alla fenestrella confessionis e capivano tutto. Capivano come quel sistema simbolico (il polittico con la maestà del Vicario e il potere delle Chiavi, gli affreschi dell’abside con le storie di Cristo, la fenestrella confessionis con la memoria di Pietro) era l’affermazione e la glorificazione del primato del papa di Roma nella difesa della ortodossia e nella legittimità della successione apostolica. Il tutto reso comprensibile e didatticamente efficace grazie a una straordinaria insuperata capacità di persuasione dottrinale e di coinvolgimento emotivo. È appena il caso di ricordare che il trasferimento della sede papale ad Avignone rendeva particolarmente importante ed anzi politicamente necessario, nel 1320, un simile programma iconografico esibito a Roma, nel cuore della Cristianità.

Il polittico Stefaneschi ha prodotto un volume che, curato da chi scrive con Ulderico Santamaria e Vittoria Cimino, è uscito in coedizione Musei Vaticani-Electa. Lo abbiamo presentato nella giornata di studi che si è tenuta ai primi di luglio in Palazzo Reale a Milano. Giotto oltre l’immagine era il titolo del piccolo convegno che, alla vigilia delle giornate ICOM, voleva ricordare e commentare i risultati scientifici prodotti dalla mostra Giotto, l’Italia, la grande esposizione che il Palazzo Reale ha ospitato fra il settembre 2015 e il gennaio 2016.

Quella mostra memorabile, curata da Pietro Petraroia e Serena Romano, (una mostra nella quale il polittico Stefaneschi splendeva come un sole circondato dai suoi pianeti) ha attivato una nuova ondata di interventi nel settore degli studi giotteschi. La giornata di studi ce ne ha dato consapevolezza. Dispiace soltanto che il tempo a disposizione dei relatori (appena mezza giornata) sia stato inspiegabilmente breve.

Interventi come quello di Marco Ciatti su «Tecnica e stile» in Giotto, di Giorgio Bonsanti sul polittico di Santa Reparata, di Davide Banzato sugli anni padovani del pittore, di Francesca Capanna sullo scrutinio di «calligrafie, trasparenze e maestri», sotto il blu dei murali della Cappella degli Scrovegni, meritavano spazi adeguati di approfondimento e di discussione.

Protagonista della giornata è stato comunque il polittico Stefaneschi. Nel libro presentato in quella occasione e nelle relazioni al convegno, il polittico è stato analizzato nelle sue vicende critiche (Guido Cornini) nei suoi materiali, nella sua struttura, nella sua storia conservativa e museografica. Le tecniche remote sensing di ultima generazione, nelle relazioni di Ulderico Santamaria e di Fabio Morresi del Dipartimento delle Ricerche Scientifiche dei Musei Vaticani, hanno dimostrato la ricchezza materica che Giotto ha dispiegato nella esecuzione del manufatto (lacca di garanza, il raro lapislazzuli, l’ancor più raro indaco) mentre Vittoria Cimino curatrice dell’Ufficio del Conservatore, ha illustrato il sistema di protezione climatologica che, interamente finanziato dalla amministrazione di Palazzo Reale, è stato messo in opera prima di autorizzare il prestito del polittico alla mostra di Milano.

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