Cultura

Il Furioso riletto con calma

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ariosto (1474-1533)

Il Furioso riletto con calma

Della Lettura dell’« Orlando furioso » (è il primo volume, e copre i canti dal primo al XXII) appena pubblicata per le cure di Gabriele Bucchi e Franco Tomasi, viene quasi naturale scegliere subito il saggio sulle Strutture narrative dell’Orlando Furioso firmato da Marco Praloran, sia perché lui è stato, assieme a Guido Baldassarri, l’ideatore e il direttore di quest’impresa, nata nel 2007 come serie d’incontri di studio, sia perché di essa Praloran non ha potuto vedere il compimento, essendo scomparso nel 2011, a cinquantasei anni.

Il saggio di Praloran, scritto nella sua prosa insieme colloquiale e pulitissima, sorprende il lettore (come faceva spesso chi lo ha scritto) con la forza di un’analisi formale non meno circostanziata che briosa. La lettura si fonda su un confronto tra l’andamento narrativo tipico dell’Inamoramento de Orlando (quello che si conosce in genere come Orlando innamorato) di Boiardo e il capolavoro di Ariosto, e individua un tratto caratteristico di quest’ultimo nell’incombente senso della fine che par governare il Furioso in una « progressione lentissima », ma inesorabile almeno da un certo punto in avanti. Ne derivano formulazioni memorabili, come questa : «Tutti [nell’Orlando furioso] sono a loro modo “buoni” o pazzi furibondi, che poi è lo stesso, ma comunque profondamente “simpatici” in senso arstotelico; questo pone in una prospettiva molto difficile e delicata il tema della morte e dunque anche della fine». O paragoni che sorprendono anche il lettore più diffidente, come quello che fotografa Orlando e Ruggiero mentre si aggirano nel palazzo di Atlante: «bloccati qui, in questo luogo sublime dall’impasse dinamico, i due eroi si muovono e si dibattono, ma non avanzano, come dei ciclisti in esercizio nella propria camera, sulla loro cyclette, magari davanti alla proiezione sulla parete dei tornanti dello Stelvio o del Tourmalet, invalicabili però».

Quelle di Praloran non sono certo le sole pagine che si raccomandano di questa guida puntuale a tutti gli anfratti del poema, che propone – dopo un mazzetto di saggi introduttivi, del quale fa parte anche quello appena citato – una lettura scandita canto per canto, come si fa per tradizione con altri capolavori della letteratura italiana, ma non si era ancora fatto con un poema che sembra a tratti ribellarsi a una fruizione spezzata. Tra i nomi dei lettori forse più familiari ai frequentatori di queste pagine, ricorderemo solo quello di un altro maestro scomparso, Cesare Segre, titolare del canto XI (quello celeberrimo della cavalcata sull’ippogrifo e della liberazione di Angelica). A sceglierli, convocandoli nelle loro sedi di Padova e di Losanna, furono i due ideatori dell’impresa, ispirati o forse provocati da un’esperienza vissuta dallo stesso Praloran: quella di un suo seminario universitario di storia della lingua italiana, in cui egli aveva affidato ad ogni studente la lettura e il commento di un canto del Furioso. Chissà che cosa ne sortirebbe, si era poi chiesto, se anziché agli studenti lo stesso compito fosse affidato a professionisti della lettura e della critica. Se l’insegnamento universitario è quello che per natura gèrmina dalla ricerca, è pur vero – all’inverso – che talvolta la ricerca più indovinata sorge dalla pratica di un insegnamento coinvolgente e appassionato. C’è da credere che questa lettura del poema – che speriamo possa concludersi presto con il secondo volume – sopravviverà ben al di là degli effimeri festeggiamenti per il quinto centenario della prima edizione di quell’opera.

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