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Il pregiudizio misogino? Invincibile

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Economia e Società

Il pregiudizio misogino? Invincibile

Per una lettrice, l’incipit del saggio Contro le donne. Storia e critica del più antico pregiudizio di Paolo Ercolani (Marsilio editore, collana Nodi) è irresistibile: «Lo scrittore Samuel Butler sosteneva che gli uomini saggi non dicono mai ciò che pensano delle donne, ma evidentemente o si sbagliava oppure la storia ci ha rivelato una sorprendente penuria di uomini saggi».

La lettrice si mette comoda, pronta a crogiolarsi nell’altro pregiudizio più antico del mondo. Segue infatti una rassegna dell’ottusità, vanità, incoerenza maschile nella filosofia, la religione e la scienza sotto ogni cielo, regime politico, ordine sociale. Non ci stavano tutte nel loro sfaccettato splendore, ovviamente, ma da Platone in poi, ci sono i principali teorici delle femmine buone da stuprare (le piace), picchiare (idem) e ingravidare (il sogno della sua vita), Madre natura e castratrice, Medea, amazzone, strega, puttana e un mix delle precedenti.

A volte comici a volte lirici, i signori elencano e inventano le manchevolezze delle serve, mai abbastanza umili, devote, sacrificali, e le contrastano con la propria sublime perfezione, a “immagine di Dio” e dell’Apollo del Belvedere. La “conversazione tra uomini” su quelle di grazia piene, totalmente sprovviste, intollerabili bas bleu, prosegue ininterrotta da millenni. La interrompe l’autore - docente di storia della filosofia all’Università di Urbino – per deplorarla da persona civile nell’Europa del XXI secolo, o per citare filosofe e intellettuali: Christine de Pizan, Mary Wollestonecraft, Virginia Woolf, convocate per un attimo a rappresentare le donne poco sagge, impegnate in una conversazione parallela sugli uomini, se stesse e i rapporti con le altre.

Dall’Antichità a ieri, passando dal Medioevo, la parata dei soliti sospetti conforta la misantropia presente in ciascuna di noi. Nemmeno i teorici più illuminati dell’uguaglianza hanno dato ascolto a Samuel Butler. L’autore ci aveva avvisate, «anche nei rari casi in cui è capitato che qualche autore, come per esempio Michelet e Ortega y Gasset, blandisse la donna, riconoscendone la grazia, la bellezza, o perfino la “superiorità”, ciò è avvenuto con il solo scopo di confermare, alla fine del ragionamento, che cotanta creatura rappresentava il miglior ausilio e conforto per le faticose imprese dell’uomo».

Alla lettrice viene il sospetto di aver scritto qualcosa di simile in gioventù, manda un bacione virtuale al prof. Ercolani, un altro quando fa sua la critica di Simone de Beauvoir e coglie in flagrante pregiudizio il compagno di Mary Wollstonecraft che pure l’aveva educato bene. John Stuart Mill si oppone, come no, alla Servitù delle donne, però «che anche le donne debbano essere considerate adatte a esercitare tale scelta [dei governanti, ndr] lo si può desumere dal fatto che già la legge riconosce loro questo diritto in quello che è il caso più importante: la scelta che una donna fa dell’uomo che la dovrà governare [to govern] per tutta la vita, scelta che si suppone sempre essere compiuta da essa stessa in maniera volontaria».

L’ingovernabile Mary l’ha piantato.

Le femministe sono diligenti, ma goffe, o fuorviate al punto di immaginarsi in un mondo unisex, da cyborg androgine e partenogenetiche, l’autore deplora anche questo. La lettrice non è esattamente fuorviata, ma all’uscita di una discussione su Donna Haraway e le sue discendenti alla Libreria delle Donne di Milano, con la statistica epidemiologica Sara G. e altre amiche del gruppo Ipazia 0.2, aveva avuto una visione: Sara, Laura e le altre sorgevano come Minerva dalla fronte di Giunone (la filosofa Luisa Muraro, presume) con in pugno un tablet a mo’ di lancia.

Ercolani lancia bordate entusiasmanti contro sessuofobi e sessuomani, medici, psicologi, Freud e Jung, erano meglio quelle contro San Paolo, San Tommaso? La lettrice torna indietro sottolinea accostamenti, nomi di autori che ignorava, quanti! Hegel… qui non ci siamo. Carla Lonzi non meriterà tante pagine come Simone de Beauvoir, ma nemmeno un paragrafo per Sputiamo su Hegel?

La conseguenza dell’omissione è un capitolo finale che commette la fallacia attribuita alle cyber-femministe. Propone un mondo comune in cui ogni individuo - maschio femmina o LGBT - è l’universale, incarnazione e metro dell’umanità senza più la leva, il lievito della differenza. Concettualmente piatti come pavesini, inscatolati come ora nel linguaggio e nel simbolico millenari del pregiudizio misogino. Superarlo è senz’altro «la sfida del XXI secolo», ma in una conversazione tra uomini come il colto, attento, ragionante Ercolani, e donne come Sara G. e le Minerve. La lettrice no, non sarebbe capace, ma trova Contro le donne un ottimo presagio.

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