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La grande creatività del Congo

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Arte

La grande creatività del Congo

Allestimento. La mostra «Urban Now: City Life in Congo» realizzata da Sammy Baloji (con l'antropologo Filip De Boeck)al Wiels,  il Centro per l'Arte Contemporanea di Bruxelles
Allestimento. La mostra «Urban Now: City Life in Congo» realizzata da Sammy Baloji (con l'antropologo Filip De Boeck)al Wiels, il Centro per l'Arte Contemporanea di Bruxelles

Il Belgio sta ripensando la propria storia coloniale. In questo processo di riflessione si inseriscono gli artisti, con opere esposte, tra l’altro, nelle sedi culturale più autorevoli e ufficiali. È stato il caso del padiglione nazionale della Biennale di Venezia, che nella sua ultima edizione è stato incentrato proprio sull’eredità coloniale del paese e sul concetto eurocentrico della modernità.

Tra le figure coinvolte in questa riflessione c’è l’artista Sammy Baloji, che vive e lavora a Lubumbashi, nella Repubblica democratica del Congo, e che da anni, utilizzando la fotografia e il video, esplora il presente e il passato del paese, e ne ripercorre la storia.

Baloji si basa su un’osservazione della quotidianità corroborata da approfondite ricerche d’archivio; e con il proprio lavoro evidenzia la realtà paradossale del Congo odierno, sospeso tra i sogni infranti di un passato coloniale e le promesse neoliberiste di un futuro da tabellone pubblicitario.

A Sammy Baloji e al suo progetto Urban Now: City Life in Congo, realizzato insieme all’antropologo Filip De Boeck, dedica ora una notevolissima mostra il Wiels, Centro per l’Arte Contemporanea di Bruxelles.

Balojii si concentra ampiamente sulla vita quotidiana nei siti urbani, caratterizzati da infrastrutture decadenti e da un’architettura di origine coloniale ormai derelitta: sono le rovine di una modernità passata che mostra le sue falle. Ma prende anche in considerazione la struttura sociale delle aree rurali, dove i Chef de Terre – i re di antica genealogia – continuano a giocare un ruolo decisivo, malgrado uno statuto amministrativo inesistente e il fatto di doversi confrontare con le dinamiche globali di cui sono portatrici multinazionali e società immobiliari.

L’artista guarda al paesaggio, alterato sia dalle appropriazioni di mega-aziende decise a sfruttare il territorio senza tenere conto della storia delle genti, sia da attività disparate, portate avanti in maniera indiscriminata; è il caso delle imprese minerarie più artigianali.

Tra le opere esposte c’è Essay on Urban Planning, composta di una piccola fotografia del 1929, da una serie recente di immagini aeree e da alcuni pannelli che rappresentano mosche e zanzare disseccate. L’opera ha origine in una ricerca d’archivio, e più in particolare nella fotografia scoperta da Baloji negli annali della compagnia Gécamines: due uomini di colore seduti accanto a una pila di mosche morte. «Ai tempi ogni lavoratore, per poter ottenere la propria razione quotidiana di cibo doveva consegnare cinquanta mosche morte». Assurdo e crudele, questo meccanismo era giustificato dalla paura della malaria; e faceva pendant con altri dispositivi, tra i quali l’istituzione di una vera e propria “no-contact” zone creata per tenere la popolazione della città divisa, e tutt’oggi ben percepibile nelle struttura della città: «Il cordone sanitario che separava le due razze era fondato sulla lunghezza del volo di una zanzara che poteva trasmettere la malaria, ossia 700 metri».

Per Sammy Baloji, la cui opera muove sempre avanti e indietro nel tempo coniugando immagini distanti per epoca e per origine, tra il passato coloniale e la situazione attuale esiste una sorta di copia-incolla.

E tuttavia con la sua contronarrazione, che tra i frammenti sconnessi del tessuto storico e sociale del paese rivela innumerevoli micro-realtà nascoste, l’artista individua straordinarie aree di vitalità. Perché gli abitanti delle città del Congo reinventano costantemente lo spazio sociale, creando nuove forme di abitare comune. Così, seppur in forme paradossali, in situazioni da Far West, che a noi paiono al limite del vivibile, il sogno di avvenire perennemente si rinnova.

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