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A volte ritornano: Jean-Paul Belmondo protagonista alla Mostra di Venezia

«Se non vi piace il mare, se non vi piace la montagna, se non vi piace la città… andate a quel paese!»: Jean-Paul Belmondo si è fatto conoscere grazie a questa celebre battuta rivolta agli spettatori di «Fino all'ultimo respiro», capolavoro della nouvelle vague e film d'esordio di Jean-Luc Godard, datato 1960.

Nato a Neuilly-sur-Seine il 9 aprile del 1933, figlio di uno scultore di origini italiane, Belmondo è un attore poco conosciuto dalle nuove generazioni e da molti dimenticato. La Mostra di Venezia di quest'anno però lo farà tornare protagonista attribuendogli uno dei due Leoni d'oro alla carriera (il secondo andrà al regista polacco Jerzy Skolimowski).

Tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta divenne un'icona del cinema francese e della nouvelle vague in particolare, lavorando con Chabrol per «A doppia mandata» (1959), con Jean-Luc Godard anche ne «La donna è donna» (1961) e ne «Il bandito delle 11» (1965) e persino con François Truffaut ne «La mia droga si chiama Julie» (1969).

Antieroe provocatorio, sarcastico e affascinante, Belmondo ha sempre puntato su una recitazione diversa da quella degli standard hollywoodiani: il suo talento gli ha permesso anche di interpretare diversi gangster in celebri film francesi come «Asfalto che scotta» (1960) di Claude Sautet, «Lo spione» (1962) di Jean-Pierre Melville e «Il clan dei marsigliesi» (1972) di José Giovanni. Più recentemente è stato grande ne «I miserabili» di Claude Lelouch.

Nell'agosto del 2001 viene colpito da un'ischemia cerebrale che lo terrà lontano dalle scene fino al 2008, anno in cui tornerà a lavorare in «Un homme et son chien» di Francis Huster: pellicola maltrattata dalla critica e dal pubblico, rifacimento di «Umberto D.» di Vittorio De Sica.

Nonostante il declino degli ultimi decenni, nel 2011 il Festival di Cannes gli tributa una meritatissima Palma d'oro alla carriera e ora il nuovo importante riconoscimento che riceverà a Venezia.

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