In quel giardino della Lucchesia che la sua penna aveva saputo trasformare in luogo di estatica bellezza, di epifaniche sorprese, di filosofiche scoperte e in un campo di luminosa libertà, è morta oggi la scrittrice Pia Pera. Aveva 60 anni. Collaboratrice delle pagine della Domenica, era autrice di opere di narrativa e saggistica, oltre che di traduzioni, per lo più dal russo. La bellezza dell'asino (Marsilio, 1992) - alla cui riedizione arricchita stava lavorando - raccoglie cinque racconti che con rara profondità esplorano la natura umana e i rapporti sociali a partire dall'eros, un tema in cui si avventura nuovamente nel romanzo Diario di Lo (Marsilio, 1995), tradotto in molte lingue.
Qui si dà provocatoriamente la parola a Lolita, la giovanissima protagonista dell'omonimo racconto di Nabokov che diventa la «paladina di un'ansia di libertà che dietro il paradiso dell'infanzia ha scoperto le pareti della prigione». L'eroina di una rivolta mai fino in fondo compiuta in un mondo che sembrava progressivamente rovesciarsi. In L'arcipelago di Longo maï (Baldini & Castoldi, 2000) con il suo sguardo curioso e giocoso, con la sua scrittura sapiente, sensuale, evocativa, che sa alternare armoniosamente leggerezza e profondità, racconta la sua scoperta di un progetto di vita comunitaria iniziata in Provenza nel 1972 e diffusosi in seguito in vari Paesi europei, i suoi soggiorni in comunità che tentano ogni giorno di inventarsi diversamente la vita sociale, instaurando rapporti meno iniqui fra gli uomini e cercando di far sviluppare a ognuno le sfaccettature della propria personalità.
Nel saggio sulla storia delle idee in Russia I Vecchi Credenti e l'Anticristo (Marietti, 1992), originatosi dalla sua tesi svolta a Mosca, riflette sui Vecchi credenti e la loro negazione del mondo. Su questo argomento ha anche curato e tradotto La vita dell'Arciprete Avvakum (Adelphi, 1986). Altri classici della letteratura russa sono stati dai lei curati e tradotti - tra questi Evgenij Onegin di Puskin (Marsilio, 1995), Un eroe del nostro tempo di Lermontov (Frassinelli, 1996) - oltre a Il giardino segreto di Frances Hodgson Burnett (Salani), di cui ha realizzato anche una trascrizione teatrale insieme a Lorenza Zambon.
Da una quindicina d'anni Pia Pera si era trasferita in Lucchesia, non lontano da dove aveva trascorso l'infanzia e aveva scoperto una nuova passione, il giardinaggio. Un giardinaggio che era anche, soprattutto, un pretesto: osservando le sue piante, cui Pia Pera dava una chance, quasi casuale, precaria, di vivere, però a modo loro, si arricchiva in un muto dialogo, ragionava su se stessa, sulla natura umana, sul nostro posto nel mondo. E così l'orto su cui rifletteva era anche quello cui allude Voltaire alla fine del Candide.
Il giardino - in cui lei amava restasse nascosta la mano di chi se ne curava, quasi si fosse fatto da solo - infatti non è pura natura, è soprattutto cultura, nel senso più vasto del termine. E il segreto della sua bellezza è un continuo coltivarsi a vicenda.
Del giardinaggio aveva saputo fare una forma di letteratura.
Tra i suoi libri si ricordano L'orto di un perdigiorno. Confessioni di un apprendista ortolano (Ponte alle Grazie, 2003) che nel 2003 ha ricevuto il premio Grinzane Cavour, Contro il giardino (Ponte alle Grazie, 2007), Il giardino che vorrei (Ponte alle Grazie, 2015).
Ed è proprio in un dialogo immaginario con il suo giardino che Pia Pera ha rivelato al mondo la sua malattia, la sclerosi laterale amiotrofica, che l'aveva colpita quattro anni fa. Il memoir, intitolato Al giardino ancora non l'ho detto (Ponte alle grazie, 2015, fresco vincitore del premio speciale della giuria del Rapallo-Carige) prendendo spunto da I have not told my garden yet -poesia in cui Emily Dickinson suggerisce che un giorno il giardiniere non terrà fede al suo appuntamento - è un racconto della sua malattia, una riflessione sulla vita e sulla morte, sulla libertà.
Un libro che Nicola Gardini, professore di letteratura a Oxford, poeta e scrittore, sulla Domenica ha definito «splendido», intendendo con «libri splendidi quelli che ci insegnano un modo di pensare». Un libro che mostrava «le avventure dell'intelligenza» e che nonostante la tragedia che descriveva trasmetteva leggerezza e serenità. E non era un'invenzione letteraria: leggerezza e serenità Pia Pera trasmetteva ancora a chi la visitava, in questi ultimi mesi in cui la malattia l'aveva immobilizzata «trasformandola in una pianta», come diceva lei con lucidità e ed ironia.
«La più effimera delle arti è quella del giardino. Un pittore, uno scultore, un architetto, per non dire un poeta, sono meno inaffidabili verso la loro opera. Creano qualcosa che, almeno in potenza, può continuare a vivere senza di loro», scriveva Pia Pera. E chi vedeva il suo giardino, trasformato nei suoi libri in un luogo da mille e una notte, si rendeva conto di quanta bellezza racchiudesse la sua mente.
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