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Cercare lo Spirito nelle lettere

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teologia & letteratura

Cercare lo Spirito nelle lettere

Marco Ballarini, docente di Teologia e Letteratura alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, dottore della Biblioteca Ambrosiana, monsignore del Duomo di Milano, si potrebbe definire un letterato. Avrebbe vissuto benissimo nel Settecento, quanto Muratori stava attendendo alle sue eruditissime opere; nell’Ottocento sarebbe stato di casa con Porta e Manzoni, ma non potremmo escludere qualche sua frequentazione con Vincenzo Monti, nella cui magione tra l’altro si riuniva la claque della Scala. Nel Novecento Ballarini ha fatto comunque tanto, a cominciare dai suoi studi su Bernanos, tuttavia è stato costretto a vivere in un periodo nel quale la cosiddetta società letteraria si è quasi estinta o si vede poco, comunque respira a fatica. Del resto, a differenza della Chiesa, di cui don Marco è membro prezioso e che resta somma istituzione regolata dai secoli, la letteratura odierna va a periodi, a volte non più lunghi di qualche settimana.

Tutto questo lo scriviamo non con intenti ironici ma semplicemente con il desiderio di rendere omaggio a monsignore, uomo di vaste letture e di meditate ricerche, soprattutto di raffinato spirito. Una fede magnifica convive in lui con gli slanci e le delusioni e gli esaltanti intenti delle lettere; per dirla in breve, nel suo animo vi trovate Parini (del quale cura anche dei testi nella nuova edizione nazionale) e von Balthasar, un pensiero su una passione del Pulci e Romano Guardini intento a capire l’enigma Dostoevskij.

Scusate il pasticcio, ma non era intenzione di chi scrive tentare un ritratto a tutto tondo di Ballarini; il vostro cronista cercava soltanto di presentare tre volumi da poco usciti che si possono considerare il compendio del suo lavoro di studioso. I primi due, pubblicati dalle Edizioni di Storia e Letteratura, hanno come titolo Lo spirito e le lettere: il volume I tratta da San Francesco a Petrarca, il II da Boccaccio al Novecento. Un terzo libro è contemporaneamente uscito da Morcelliana e reca significativamente il titolo Teologia e letteratura. In tal caso la materia si amplia e Ballarini, oltre ad esaminare eminenti figure di pensatori cattolici contemporanei in talune loro analisi letterarie, dedica la prima parte del volume ad argomenti quali I monaci e le lettere, o Incontro tra teologia patristica e letteratura classica o, come recita il saggio che apre l’opera, La Bibbia è (anche) letteratura. Alcune figure spiccano qua e là, tra un’analisi e una questione: è il caso di Hölderlin, esaminato sia da Guardini che da von Balthasar; potremmo aggiungere Dante, autore che, comunque, è anche oggetto di un bel saggio dello stesso Ballarini nel primo volume della ricordata opera Lo spirito e le lettere. Accattivante l’argomento: Il corpo, l’anima e la risurrezione della carne nella Divina Commedia.

C’è anche un monsignore letterato calato nella contemporaneità, ma senza esagerare: nel secondo tomo de Lo spirito e le lettere” vi sono saggi su Emilio De Marchi, Eugenio Montale, David Maria Turoldo. Certo, non mancano Manzoni o Parini, né mille altre attenzioni, ché i poeti possono essere «veri scribi del mistero, perché anche un solo verso può essere fessura dell’infinito». Sensibilità che si ritrovano nell’introduzione al volume edito da Morcelliana: «Anche a noi piace immaginare la teologia in ascolto della poesia e della letteratura in genere, perché questa, quando è vera letteratura, racconta in fondo un’unica storia alla quale la teologia non può essere assolutamente indifferente».

Certo, la letteratura deve essere “vera” per l’alta missione ma, come dire?, oggi sull’argomento c’è stata qualche confusione e sentendo i giurati dei premi letterari o gli organizzatori dei saloni dei libri dovremmo essere inondati da capolavori anche se le opere di poeti e romanzieri durano quasi tutte meno di una stagione, quando non tirano le cuoia in fretta. Tanto che anche gli addetti ai lavori non ricordano bene chi ha vinto gli ultimi Nobel e soprattutto perché.

In questa presentazione abbiamo chiamato Marco Ballarini “letterato”. Non ci è sfuggito, ma non vorremmo che qualche lettore lo intendesse nel senso che a esso dava donna Prassede quando si innervosiva con don Ferrante. Manzoni – siamo nel capitolo XXVII de I Promessi Sposi – chiosa il termine in questo modo: «titolo nel quale, insieme con la stizza, c’entrava anche un po’ di compiacenza». Lo abbiamo scritto con amicizia e un sorriso. Senza la stizza, e nemmeno la compiacenza, di quella donna impegnatissima a far del bene.

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