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Diventare alberi

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Ariose sepolture

Diventare alberi

Il Westall Park Natural Burial Ground, in Inghilterra
Il Westall Park Natural Burial Ground, in Inghilterra

Un'estate di molti anni fa, a Oakland, mi trovai in un gabinetto interamente tappezzato di pubblicità funerarie: bare lussuose rivestite di rame o argento, imbottite con seta di ogni colore, cripte, prodotti di cosmesi, scarpe e biancheria per morti. Erano pagine strappate da riviste come «Mortuary Management». Poco più che ventenne, restai a lungo seduta a leggere la straordinaria documentazione che la padrona di casa, Jessica Mitford, aveva riciclato in carta da parati dopo averla usata per The American Way of Death, prima edizione nel 1963.

Pecora rossa tra sorelle blasonate e ammiratrici di Hitler, Jessica denunciava lo sfruttamento, da parte dell'industria, del dolore dei familiari, indotti alla macabra pratica dell'imbalsamazione per ottenere la memory picture ideale del caro estinto. Seguì un acceso dibattito sulla cinica commercializzazione della morte: interrogazioni al congresso sull'industria dei funerali, il film satirico di Tony Richardson, The loved one, basato sull'omonimo romanzo di Evelyn Waugh oltre che sul libro di Mitford. Che continuò a lavorare sul tema fino a una nuova edizione nel 1998, due anni dopo la morte costata, tra funerale, cremazione, e dispersione in mare delle ceneri, meno di mille dollari. Un'inezia rispetto agli sprechi denunciati dal Green Burial Council: due milioni di costosissime bare vendute ogni anno negli Stati Uniti per una cifra pari a quella necessaria per costruire un nuovo Golden Gate Bridge.

The American Way of Death orientò a suo tempo verso la cremazione finché, con la scoperta che anche questa comportava un'impronta ecologica eccessiva – la dispersione nell'atmosfera dei prodotti chimici utilizzati per imbalsamare il corpo, delle tossine in questo accumulate, non ultimo il mercurio dell'amalgama dentario, l'elevato costo dei combustibili – ha cominciato ad affermarsi il movimento per una sepoltura ecologica. Suo pioniere l'architetto austriaco Friederich Hundertwasser, convinto che con l'avvento di un'epoca ecologica si sarebbe compreso che i rifiuti in quanto tali non esistono. Nulla muore ma tutto si trasforma. Anche le salme, a patto di emanciparsi da superstizioni arcaiche e moderne, di non sigillarle troppo in profondità nella terra, peggio ancora in loculi sopraelevati dove le radici e i microorganismi non arrivano a rigenerarle. Anziché un omaggio marmoreo, meglio la visita a un albero sarcofago. Non in un cimitero, quindi, ma in parchi, foreste, luoghi vivi.

Ed ecco che, tra la denuncia di Jessica Mitford e la visione di Hundertwasser, si diffonde il gusto per la metamorfosi dei defunti in piante. Non più corolle recise sulle tombe, ma la contemplazione di fiori nati là dove la salma si è ricomposta in fertile humus. Nella sepoltura verde il corpo, esente da formaldeide, viene inumato non lontano dalla superficie, dentro una cassa biodegradabile che permette il reinserimento nella rete della vita.

In tutto il mondo si contano ormai a centinaia i Green Burial Sites. Le modalità variano. Il primo, nel 1998, è stato Ramsey Creek Preserve, nella Carolina del Sud: una decina di ettari lungo un corso d'acqua che, balzando di roccia in roccia, risuona in quella terra mai coltivata, ricca di specie vegetali spontanee, di animali selvatici tra cui l'orso bruno; un accordo garantisce per sempre il rispetto della selvatichezza della riserva. Vicino a Pittsburgh si trova il Penn Forest Natural Burial Park. Qui, dopo una semplice cerimonia, si può marcare il luogo di sepoltura con un masso. La fauna selvatica popola la foresta; si potrebbe anche credere di trovarsi in un parco dove agli alberi si alternino radure a prato. In Inghilterra, tra Worcester and Stratford-upon-Avon, si trova Westall Park.

Di proprietà della famiglia Tolley, è un'immensa prateria fiorita in corso di trasformazione in radura boschiva con vista sul paesaggio ondulato del Worcestshire. Vi si viene sepolti senza specificazione di fede. Non sono ammesse lastre tombali, tuttavia chi lo desideri può indicare il nome del defunto con una semplice tavoletta di legno. Un altro cimitero, ecologico anche se in minore simbiosi con l'ambiente, è il cattolico Saint Francis Natural Burial Park di Sidney. Qui la salma, inumata in una bara biodegradabile, riposa per un periodo, rinnovabile, di tre decenni in quello che potrebbe venire scambiato per un giardino ben curato.

I parenti individuano il luogo di sepoltura grazie a un sistema di Gps, Epitrace, che consiste nell'inserire un microchip nella bara.
Riconoscere nel cimitero una delle declinazioni possibili del giardino ha spezzato un tabù. Così all'ultima mostra di primavera della Royal Horticultural Society, a Malvern, la paesaggista Ann Sharrock ha proposto, per raggiungere la sepoltura ai piedi di una betulla, un simbolico ponticello sopra uno specchio d'acqua e una spirale di bosso, in una soluzione a metà strada tra la restituzione alla natura e la volontà di personalizzare la tomba sia pure utilizzando piante anziché manufatti.

Alcune imprese di pompe funebri, adeguandosi alla nuova sensibilità, propongono alternative alle bare in lucido massello foderato di zinco: giunco, cartone, paglia intrecciata, foglie di banana, compensato, bambù. Anche in Italia, dove una complessa e antiquata normativa, prescrivendo che la terra tutta del cimitero sia isolata con barriere di cemento, circoscrive il vantaggio di una scelta del genere al solo risparmio. Fanno sorridere i pur virtuosi lumini a energia solare: ben misera cosa per chi aspiri non a venire sigillato in una cripta, isolato per un tempo infinito dal mondo, ma diventare albero, parte integrante della foresta, donare quella materia il cui senso è ormai smarrito al ciclo sempre rigenerantesi della vita.

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