Cultura

Il mondo in un giardino

  • Abbonati
  • Accedi
verdeggiando

Il mondo in un giardino

I Kew Gardens, a sudovest di Londra
I Kew Gardens, a sudovest di Londra

Prima di lasciarsi sedurre dalle novità proposte alle mostre orticole, consiglio una passeggiata all'orto botanico. Il bravo giardiniere non ignora quanto il successo dipenda da un dialogo accorto con clima e paesaggio, habitat rispettivamente ecologico e culturale. Senza considerare la crudeltà di aprile: il gelo potrebbe tornare a mordere! Saggezza consiglia di rimandare le semine, ispirandosi intanto con una visita all'orto botanico.

L'archetipo, a Padova, esprime l'ideale enciclopedico medioevale ancora vivo nel 1545, anno di fondazione; ha struttura circolare in figura di microcosmo, che comprende un quadrato tagliato da cardo e decumano in quadrati più piccoli suddivisi a loro volta in 250 parcelle di piante erbacee. Nel tempo si è arricchito di specie da paesi con cui Venezia intratteneva scambi commerciali: la prima agave americana nel 1561, cui seguirono la patata, il lillà da Costantinopoli, il sesamo, fino al giacinto orientale e alla fucsia. La pianta più celebre è ospitata in una torretta esagonale in vetro e cemento: Chamaerops humilis. Goethe, che la vide nel 1786, la ricorda in Le metamorfosi delle piante: «Le prime foglie uscivano di terra semplici e lanceolate; più su la loro divisione andava complicandosi e, infine, apparivano completamente digitate».

Il giardiniere «recise alcuni saggi rappresentanti la serie di queste trasformazioni, e io mi caricai di molti grandi cartoni per portare con me questa scoperta. Li ho ancora sotto gli occhi tali quali li raccolsi allora, e li venero come feticci che, destando e fissando la mia attenzione, mi hanno fatto intravedere i felici risultati che potevo attendere dai miei lavori».
Padova nasce all'inizio dello studio sistematico delle piante. Mezzo secolo dopo a Kew, sud-ovest di Londra, William Turner, padre della botanica inglese, realizzava le prime piantagioni. Giorgio III, “re pazzo” per gli attacchi di porfiria, ma anche Farmer George per la passione bucolica – per lui Capability Brown inventò lo “ha-ha”, ampio fossato per delimitare senza recinzioni visibili i pascoli di pecore e mucche – unì i boschi di Richmond al giardino di Kew, creando Kew Gardens così come li conosciamo oggi.

Finché, con la direzione di Joseph Banks, avventuroso cacciatore di piante – gli dobbiamo, tra le tante, la bouganville – si apriva una nuova pagina: l'orto botanico diventava trofeo delle dotte razzie botaniche dell'impero, evocato con la Pagoda di dieci piani copiata da quella del Palazzo d'Estate di Pechino distrutto, insieme all'invidiato giardino, su ordine di lord Elgin. Per ospitare il bottino coloniale, ecco la Palm House (1848) dall'elegante disegno di chiglia di nave rovesciata, prima di una serie di celebri serre fino all'ultima, la avveniristica Davies Alpine House.

L'evoluzione di Kew è così riassunta dal suo ventiquattresimo curatore, Nigel Taylor: «Da bracconieri a guardia parchi, infine scienziati in asettici laboratori». Difatti l'ultima missione di Kew è questa: assicurare, con la Millennium Seed Bank nella succursale di Wakehurst place (Sussex) che non vadano perdute specie minacciate di estinzione. Qualcosa di simile avviene anche nei Giardini di Castel Trauttmansdorff a Merano, nati nel 2001 nella cornice dei boschi di roverelle teatro delle passeggiate dell'imperatrice Sissi. Ci sono i laboratori di Laimburg dove scienziati in camice bianco svolgono ricerche utili alla viticoltura e frutticoltura del territorio, mentre i dodici ettari intorno al castello si presentano come un compendio a cielo aperto del giardino, declinato dall'inglese all'italiano al giapponese fino all'orto di montagna, e dei vari habitat e consociazioni di piante: dallo «schibljak» della Dalmazia, patria dell'albero della nebbia, alla vegetazione ripariale di salici e ontani, dal bosco di sclerofille tipico del Mediterraneo agli antenati selvatici dei nostri fruttiferi, originari dell'Asia anteriore fino alle latifoglie da ambiente umido.

Né mancano gli agrumeti, grazie al clima particolarmente mite che ha permesso a Merano di ospitare piante esotiche. Trauttmansdorff deve il successo all'innesto, sulla forma museale classica comunque rinnovata, di iniziative vivaci, capaci di competere con l'attrattiva mediatica degli eventi.
Da aprile, ci sarà la mostra «Profumi divini e odori infernali», e, nei giardini, intere collezioni austriache, irlandesi e olandesi, di piante fragranti, dai lillà alle rose, dai pelargoni alle salvie alle mente. Nonostante l'inverno rigido, si preannunciano fioriture di ciliegi da fiore giapponese e di azalee sempreverdi, distese di narcisi e giunchiglie in fiore. Da non perdere Jonquilla odorus plenus, e gli straordinari rododendri fragranti: Luteum e Yakushimanum flava, Viscosum Soir de Paris e Juliduft. Né Padova intende restare indietro: l'orto satellite, di cui è prevista l'apertura tra tre anni, ospiterà serre a tema ambientale, dai tropici alla tundra, nuove raccolte sul tema delle piante di uso alimentare, tessile, tintorio e medicinale.

© Riproduzione riservata