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Il Pardo sceglie «El Topo»

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festival di locarno

Il Pardo sceglie «El Topo»

Il Pardo d’oro alla carriera viene assegnato al cileno Alejandro Jodorowsky (87 anni)
Il Pardo d’oro alla carriera viene assegnato al cileno Alejandro Jodorowsky (87 anni)

Quest’anno il festival del cinema di Locarno omaggia due anziani registi che non si potrebbero immaginare più diversi, ma che in fondo rappresentano entrambi un versante fantastico, bizzarro, eccentrico in modi diversi. Il Pardo d’oro alla carriera viene assegnato al cileno Alejandro Jodorowsky (87 anni), mentre il novantenne Roger Corman, mito del B-movie hollywoodiano, sarà ospite del progetto di formazione della “Filmmaker’s Academy”.

Jodorowsky, fondatore con Arrabal e Roland Topor del gruppo neo-surrealista Panico, ha conosciuto il proprio momento di gloria come regista negli anni ’70, con El Topo (1970) e La montagna sacra (1973). Cult movie generazionali, immancabili della programmazione dei cineclub dell’epoca, sono due viaggi iniziatici, pieni di simbolismi e di trovate, a volte gratuite e didascaliche, a volte efficaci. Alla ricerca del grottesco, con echi surrealisti e uno spirito baracconesco (ricorrenti il circo, i nani, gli storpi, il sesso, l’iconografia cattolica), i suoi film erano fatti apposta per intercettare un certo gusto pop e intellettuale dell’epoca. Inevitabilmente, sono invecchiati male. Se El Topo, apologo western su un pistolero che diventa saltimbanco, ha dei momenti ancor oggi affascinanti, di La montagna sacra non si sa se reggano peggio il versante simbolico-iniziatico o quello della metafora politica sulla repressione. Il suo progetto più ambizioso e affascinante, peraltro, è rimasto in quegli anni sulla carta: un Dune dai romanzi di Frank Herbert, che doveva coinvolgere Salvador Dalì, i Pink Floyd, Orson Welles eccetera. Lo ha raccontato un bel documentario di qualche anno fa, Jodorowsy’s Dune di Frank Pavich.

Negli anni successivi i suoi film, fedeli a quella imagerie e un po’ ripetitivi, hanno avuto minor eco (ma è curioso l’ultimo Poesia sin fin, sulla giovinezza nella Santiago del dopoguerra). Nel frattempo, Jodorowsky si è dedicato alla “psicomagia” e ai tarocchi, ha scritto tanto (anche un’autobiografia, La danza della realtà). Probabilmente, però, la parte più duratura della sua carriera è quella di sceneggiatore di fumetti, specialmente per Moebius (la serie de L’Incal): lì sua fantasia trova un contrappeso visivo nella razionale grafica ligne claire del disegnatore francese.

Agli anni ’70 risale anche, in realtà, la ricoperta di Roger Corman, che proprio in quegli anni abbandonava la carriera di regista per dedicarsi esclusivamente a quella di produttore. Nei due decenni recedenti, Corman) aveva attraversato il cinema da drive-in con prodotti a bassissimo costo nei generi più popolari, dal western (il suo esordio Cinque colpi di pistola, 1955) alla fantascienza (Il mostro del pianeta perduto, 1957), dai film sui teddy boys agli horror, tra cui il gioiello comico La piccola bottega degli orrori, girato, pare, in soli due giorni. C’era stato anche un film da riscoprire sulle tensioni razziali, più duro della tradizione democratica hollywoodiana: L’odio esplode a Dallas (1961) Ma i film che lo avevano fatto rivalutare dalla critica erano la serie di adattamenti da Edgar Allan Poe negli anni ’60, da I vivi e i morti (1960) a La tomba di Ligeia (1965), alcuni dei quali sono dei picchi visionari (La maschera della morte rossa, 1964). Alla fine degli anni ’60 Corman era stato un incubatore della New Hollywood: Il massacro del giorno di San Valentino (1967) e Il clan dei Barker (1970) lanciano la moda rétro del film di gangster: senza dimenticare che Easy Rider, girato e interpretato da collaboratori di Corman, è in fondo la versione arty dei suoi film giovanilisti di quel periodo, come I selvaggi (1966) e Il serpente di fuoco (1967). Dal ’71, dopo Il barone rosso, i film da lui prodotti si rivolgeranno alla generazione del Movement. Film di motociclisti, di gangster, melodrammi sulla vita delle infermiere, e pruriginosi film sulle carceri femminili. E la sua nuova casa di produzione, la New World, diventerà ancor di più una palestra per registi giovanissimi, pagati poco e con pochi giorni a disposizione, ma con la possibilità di esordire.

La grande importanza di Corman è stata infatti anche di talent scout. Con lui hanno esordito alla regia negli anni ’60 e ’70 Jonathan Demme (Femmine in gabbia), Martin Scorsese (America 1929: sterminateli senza pietà) Francis Ford Coppola (Terrore alla tredicesima ora), Peter Bogdanovich, Monte Hellman, Joe Dante, Ron Howard; e poi James Cameron, John Sayles, Robert De Niro, Jack Nicholson, eccetera. Nello stesso periodo, distribuiva negli Usa i film di Bergman, Kurosawa e Fellini. Eppure, col suo muoversi clandestino e il preparare il terreno per più generazioni successive, Corman non è mai stato un ribelle, un maledetto. Si è ritagliato un suo spazio minoritario, vampirizzando o estremizzando le tendenze del cinema hollywoodiano, tenendo d’occhio il risparmio, con cinismo ostentato (Come ho fatto 199 film a Hollywood senza perdere un dollaro, si intitola la sua autobiografia) ma potendo godere di una libertà che è stata di esempio per molti.

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