Cultura

Misericordia e libero arbitrio

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erasmo da rotterdam

Misericordia e libero arbitrio

Poche settimane fa (il 3 luglio) la copertina del nostro supplemento è stata occupata da alcuni estratti di un curioso e suggestivo sermone di Erasmo da Rotterdam. Vorrei ritornare su questo scritto affrontandone la componente teologica, soprattutto in connessione col grande interlocutore polemico di questo principe degli umanisti, cioè Martin Lutero, del quale l’anno prossimo celebreremo il celebre atto d’avvio della Riforma protestante, la pubblicazione delle «95 tesi».

Pochi sanno che Erasmo da Rotterdam era un sacerdote agostiniano, ordinato nel 1492. Successivamente sarà dispensato dagli obblighi monastici di quell’Ordine a cui apparteneva anche il suo “avversario” Lutero. Come è noto, Erasmo Desiderio – latinizzazione del suo nome olandese Geer Geertz – col grande riformatore ebbe una veemente contesa teorica il cui emblema era già nel titolo stesso di quella “diatriba”, cioè del saggio De libero arbitrio, al quale Lutero replicò con un altrettanto famoso De servo arbitrio. Eravamo nel 1524: proprio in quello stesso anno veniva pubblicato questo Sermonesull’immensa misericordia di Dio che Pasquale Terracciano ha tradotto dal latino a distanza di oltre quattro secoli e mezzo dalla sua prima versione italiana (1542), “ammorbidita” dal traduttore di allora, Marsilio Andreasi (ne seguirono altre due nel 1551 e nel 1554 e poi il silenzio).

Si può, perciò, dire che la nuova presentazione di questa concio – come la titola Erasmo – «elegantissima e coinvolgente», sia una sorpresa che cade proprio nell’anno giubilare della misericordia. Ed è curioso notare che gli scritti di Erasmo, apologeta intelligente e libero del cattolicesimo, nel 1559 finirono senza misericordia sotto la mannaia dell’Indice di papa Paolo IV Carafa, come le ben più roventi pagine di Lutero. Ora, in questo testo erasmiano si intravedono in filigrana gli stessi percorsi tematici dello scritto in difesa del libero arbitrio. Una difesa condotta, però, senza ignorare la pesantezza del peccato umano, focalizzato soprattutto dall’antagonista Lutero. La raffinatezza del teologo umanista sta nel navigare con rotta mediana tra i due scogli: da un lato, la Scilla di un’antropologia consapevole del male insediato nella creatura umana, per altro sottolineato anche da san Paolo; d’altro lato, la Cariddi dell’«immensa misericordia» divina che ingloba e trascende la mera giustizia e che riconosce alla libertà umana la possibilità di un’accoglienza di questa grazia e della relativa conversione.

Quindi, come nel trattato De libero arbitrio, Erasmo parte dallo stesso terreno pessimistico sul quale è saldamente ancorato Lutero, per approdare però a un ben diverso esito. Certo, l’uomo debole e simile a un verme, con la sua scelta libera può secernere male e colpa; ma questa creatura ha in sé la stessa capacità libera di accogliere il dono divino del perdono misericordioso. Senza un simile “libero arbitrio”, sarebbe impossibile l’atto morale responsabile. Interessante a questo riguardo è la comparazione che Erasmo stabilisce tra due peccatori, entrambi traditori di Cristo, entrambi avvolti dal manto misericordioso di Dio, ma dalla fine antitetica proprio per il diverso esercizio della libertà, sfociata nella conversione per l’uno, nella disperazione per l’altro. Lasciamo la parola al grande “predicatore” che mette in scena appaiati Pietro e Giuda.

«Pietro ricordò e tornò nel suo cuore [si convertì dal tradimento], e per questo gli venne tolto il cuore di pietra, quel cuore di pomice dal quale non si poteva far uscire alcuna lacrima: gli fu dato un cuore di carne, dal quale immediatamente sgorgò una fonte di lacrime, amara per il dolore della penitenza, ma salutare per l'innocenza che gli fu restituita. Giuda, invece, non è tornato a Gesù, ma andò dai sacerdoti e dai farisei, riportò indietro il fatale compenso, si diresse verso l'infausto capestro e si squarciò in mezzo (Atti 1,18)... Giuda conobbe la grandezza del suo errore, ma non si ricordò delle parole di Dio, che nei libri sacri incessantemente invitano al ritorno [conversione], spingono alla penitenza e promettono la misericordia».

Certo, la grazia divina precede ed eccede la libertà umana ma non la annulla perché non vuole come destinatario una realtà materiale che obbedisca solo a leggi fisiche necessitanti ma un interlocutore libero, consapevole della sua colpa e disponibile ad essere abbracciato dal suo Creatore che punisce il peccato fino alla quarta e quinta generazione, ma perdona fino alla millesima generazione, come afferma il Dio biblico citato nel finale dell’opera (Esodo 34,6-7). Il primato, dunque, è sempre di Dio e della sua misericordia che trascende la pur esigente sua giustizia. All’uomo, però, non viene tolta la possibilità di accettare l'offerta della salvezza o di rigettarla. Naturalmente il discorso di Erasmo, condotto su un necessario crinale tra luce e tenebra, è più complesso, come emerge dall’accurata introduzione del curatore Pasquale Terracciano. È lui a sottolineare anche un altro aspetto che riteniamo molto suggestivo, soprattutto oggi con lo sforzo evidente del papato di Francesco per il dialogo ecumenico e interreligioso.

L’azione della misericordia divina non si esercita solo nei confronti dei cristiani, ma si manifesta anche nell’intera storia dell’umanità, tant’è vero che non si fa cenno alla necessità del battesimo per ottenere il dono della bontà divina. Perciò, come Giuda, anche il faraone oppressore avrebbe potuto salvarsi, così come la discesa di Cristo agli inferi testimonia che la misericordia divina può spalancare anche le «porte delle tenebre». E qui entra in scena una tesi delicata e si rivela l’abilità di Erasmo nel muoversi su un terreno molle: «Oserei aggiungere, in accordo con l’autorità di Giobbe e dell’Apostolo, che non solo la terra è piena della misericordia di Dio, ma lo sono anche i cieli e gli inferni». Sta di fatto, comunque sia, che la misericordia acquista un rilievo capitale nella stessa definizione di Dio e dell’essere umano: se Dio non potesse perdonare, non sarebbe onnipotente. È ciò che si legge anche nel libro biblico della Sapienza: «Hai compassione di tutti, perché tutto puoi... Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore amante della vita» (11,23.26).

Come scrive Terracciano, il sermone è «capace di sfruttare sapientemente le regole della retorica e la maestria dell’esegesi delle S. Scritture per provvedere all'elevazione morale del proprio uditorio». Non bisogna dimenticare che lo stesso Erasmo elaborò una ratio concionandi, un esemplare canone di eloquenza e retorica sacra nella sua ultima grande opera intitolata Ecclesiastes, un rimando allusivo al significato etimologico di questo vocabolo che è lo pseudonimo greco-latino di un autore biblico, l’Ecclesiaste appunto o Qohelet, cioè il “Predicatore”. Era il 1535 ed Erasmo morirà sessantasettenne l’anno successivo in quella Basilea ove aveva tentato invano di conciliare cattolici e protestanti, divenuto arbitro del dialogo umanistico, culturale e teologico, stimato ma non ascoltato da papa Leone X o dagli imperatori Francesco I e Carlo V. In appendice, vorremmo però allegare una bella testimonianza sulla misericordia divina proprio dell’interlocutore polemico ma rispettoso di Erasmo, cioè Lutero: «La misericordia di Dio è come il cielo che rimane sempre fisso sopra di noi. Sotto questo tetto siamo al sicuro dovunque ci troviamo».

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