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Orlando Furioso con gli artisti

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Arte

Orlando Furioso con gli artisti

«Coppa con Bradamante», maiolica di Castel Durante, 1525-1530, Sèvres, Cité de la Céramique
«Coppa con Bradamante», maiolica di Castel Durante, 1525-1530, Sèvres, Cité de la Céramique

Prima fra le manifestazioni che celebrano il quinto centenario dalla pubblicazione dell’Orlando furioso, la mostra intitolata I voli dell'Ariosto. curata da M.Cogotti, V. Farinella e M. Preti, è allestita nella villa che il cardinale Ippolito II d’Este, nipote di Ippolito I, dedicatario del poema ariostesco, fece costruire a Tivoli nella seconda metà del Cinquecento. L’edifico è assai più di una cornice scelta per ragioni dinastiche, infatti grazie alla sua non ostentata magnificenza contribuisce alla valorizzazione dei materiali convenuti per l’occasione: dalle edizioni più antiche d’ambito estense a quelle dove iniziano a comparire le illustrazioni, fonte da cui attinsero un po’ tutti coloro che s’impegnarono nella diffusione dei temi legati all’Orlando, vedi il ciclo di affreschi che ornano le pareti del palazzo Alessandri a Bergamo, in cui l’episodio di Astolfo che uccide Orrilo è desunto da una tavola del volume stampato a Venezia nel 1542. Poi le medaglie, esemplari fusi rispettivamente dal Pastorino e da Domenico Foggini, variati nella tipologia dei ritratti dell’Ariosto, caratterizzati da un realismo misto a idealizzazione. Le allegorie raffigurate al rovescio sono -more solito - di non facile soluzione, rappresentando l’una delle api che roteano intorno a un alveare incastonato in un tronco poggiante su quattro alari, e l’altra una mano calante dal cielo munita di una cesoia pronta a recidere la lingua bifida di una serpe. Ampio spazio è dedicato alle stampe e agli arazzi. Fra le suppellettili svettano le maioliche, diffusori precoci e tempestivi dell’iconografia ariostesca. La coppa urbinate con il volto di profilo di Astolfo viene datata verso il 1520. L’anonimo autore ha inteso interpretare l’espressione di Astolfo in chiave malinconica, mentre la coppa con il ritratto di Bradamante, proveniente dalla medesima manifattura marchigiana, ne mette in evidenza il cipiglio e la fierezza. Sulle maioliche, meno raffinate, di Deruta le storie hanno un andamento narrativo: zuffe e duelli, animati da una concitazione d’ispirazione letteraria.

Il percorso della mostra prosegue con i dipinti che cronologicamente prendono avvio dal bellissimo Angelica e Orlando Furioso di Dosso della Galleria Palatina, opera che potrebbe forse anticipare l’editio princeps del poema ariostesco. La tela di Ruggiero che libera Angelica di Ingres attesta l’intramontabile fortuna di Ariosto in Europa nell’Ottocento. Capitolo a sé è quello della pittura fiorentina del Seicento, dove le tematiche ariostesche vengono trattate con cadenze teatrali. I quadri di Matteo Rosselli, Bilivert, Orazio Fidani, Jacopo Vignali sono per lo più conservati agli Uffizi e a Palazzo Pitti, ma non fanno parte di una serie. Nel Ruggiero soccorso da Leone e dalla maga Melissa Vignali non ha lesinato toni melodrammatici palesemente recitativi. La scena di Angelica che soccorre Medoro ferito privilegia il timbro sentimentale e patetico, non i dettagli cruenti. È ancora la retorica dei gesti a dominare nelle due bellissime figure bronzee di Ruggiero e Angelica, opera di Ferdinando Tacca. La bella Angelica è appena «rientrata in possesso del magico anello che protegge dagli incanti chi lo indossi e rende invisibile chi lo metta in bocca» (Caneparo), in stretta corrispondenza con un passo del testo altamente lirico, che canta «e in men che non balena, così dagli occhi di Ruggier si cela, come fa il sol quando la nube il vela».

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