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Se il bijou racconta lo stile Italia

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mirabilia

Se il bijou racconta lo stile Italia

Gemelli di Piero Fornasetti (ceramica e ottone dorato)
Gemelli di Piero Fornasetti (ceramica e ottone dorato)

«C’è stata un’epoca meravigliosa» per questo paese, «fra la prima metà degli anni 50 e il 1968, in cui è sembrato che la società italiana riuscisse a diventare felicemente moderna. Quel ventennio è stato l’epoca della felicità». Parole della compianta e non rimpiazzata intelligenza – intelligenza delle cose, delle persone e dello spirito dei tempi – di quel grande narratore italiano che è stato Edmondo Berselli. E non è un caso se proprio in quegli anni, grazie alla moda e al design, al saper vivere un tempo presente e prevedere un futuro pieno di promesse, l’Italia ha saputo coniare e dare senso a quel «made in Italy» che ancora oggi, in alcuni campi, ci fa grandi nel mondo. Non è un caso, nemmeno, se di questo slancio fa parte un universo appartato, sebbene scintillante, come quello della bigiotteria. Ed è protagonista della prima ora, il bijou, fin dal 1951, quando, con la sfilata fiorentina a Villa Torrigiani, inizia la storia dell’alta moda italiana: sfilavano, tra i pochi scelti, le Fontana, Pucci e Germana Marucelli. Era l’inizio di un’epoca, sancita da pubblicazioni («Novità», nata anche grazie alla vista lunga dell’eterno Gio Ponti, fondata dalla sua allieva Emilia Kuster Rosselli, e destinata a diventare poi «Vogue Italia»); manufatti, disegnatori, accessori; interconnessioni tra arte e industria; artigianato e decorazione; bellezza algida e charme casalingo. La bigiotteria era un piccolo lusso necessario: aspirazione di una classe borghese nuova che poteva spendere e, pur nell’«orgoglio della modestia», vuole, invece, sfoggiare. E lo fa sperimentando: forme, materiali, disegni. A partire dalla storica produzione del distretto di Casalmaggiore (Cremona), i nomi di riferimento, poco noti, se non agli esperti, sono quelli di Coppola e Toppo, Canesi, Ornella Bijoux, Bozart, Giuliano Fratti, Borbonese, Cascio eccetera. L’apprezzamento è universale e l’America è in prima fila. Lo stile italiano, nel bijou, è quello di liberarsi, alla fine, del suo “effetto copia” e di rivendicare, anzi, la propria originalità, con la fierezza di chi sa di essere portatore di valori altri; di pensiero che si fa oggetto e non si sente “diminuito”, ma, appunto, alternativo. (E non è un caso, infine, che anche in questo campo si sperimenterà il confine con il gioiello d’artista: i casi sono molti a partire da Getulio Alviani per Marucelli, fino ai Basaldella, Pomodoro e altri). La lettura di due opere fondamentale come la Storia della bigiotteria italiana di Bianca Cappello (Skira, pagg. 160 ricolme di illustrazioni di meravigliosi bijou, € 40,00) e, insieme, de Il Bijou italiano tra gli anni 50 e 60 della stessa Cappello e di Alba Cappellieri (Corraini, pagg. 144, € 25,00), entrambi testo inglese a fronte (quindi già pronti per il mercato internazionale), conferma che questi oggetti così singolari hanno preso parte a pieno titolo della nostra storia migliore: allungandosi dai decenni “felici” a oggi e mostrando con il colore, la forma, la fantasia, il guizzo originale, il loro insostituibile ruolo. Ed è bello sapere che c’è qualcuno che li tiene in debito conto. È un pezzo di storia d’Italia di cui andar fieri.

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