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Una Giselle per due

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Una Giselle per due

Remake del Balletto di Roma
Remake del Balletto di Roma

Ventitré edizioni, anno di nascita 1994: Civitanova Danza, espandendosi, riserva sorprese. Lo stile è quello perfezionato in un lungo tempo vigile e amico dal Circuito marchigiano Amat e da Gilberto Santini, il suo lungimirante direttore artistico. Assertore di una danza senza barriere, di un accorto tête à tête di ricerca e tradizione, della necessità di coinvolgere nei propri laboratori estivi bambini, adulti, donne di tutte le età, il festival non dimentica le scuole di balletto del territorio, cui anzi riserva lezioni speciali dell’Accademia Teatro alla Scala e dell’Opéra di Parigi.

L’assenza di “ghetti” è la carta vincente di questa storica vetrina, tesa alla crescita culturale del pubblico, sotto l’egida di Enrico Cecchetti. A questo capofila dei didatti accademici, nato a Roma, scomparso a Milano (1850-1928) ma di origini marchigiane, si deve, per metafora, il recente, applauditissimo, passaggio di Eleonora Abbagnato nella Carmen di Amedeo Amodio, ma anche di tutte le stelle del firmamento sulle punte siano ad oggi qui già ospitate. Questa volta, le ali dell’insigne maestro si sono posate su di un imprevedibile remake di Giselle a cura del Balletto di Roma, affidato sia all’israeliano Itamar Serussi Sahar, sia all’austriaco Chris Haring. La cosa di per sé non sarebbe una stravaganza.

Già in origine, nel 1841, Giselle debuttò con l’apporto di Jean Coralli e Jules Perrot, coreografi nemici ma, a differenza dei due metteur en danse del Balletto di Roma, consanguinei nella formazione tecnico-culturale. Invece, il linguaggio di Serussi Sahar, cui è affidato il primo atto realistico del capolavoro ottocentesco, deriva dalla Batsheva Dance Company, mentre quello di Haring ricorda vagamente la motion di Alwin Nikolais con un segno formale adattabile a ogni circostanza.

La nuova Giselle, di tenore evocativo-astratto, presenta subito dieci interpreti in calzamaglia color pelle. Sotto una luce cremosa, implacabile, senza ombre, né appigli scenografici di sorta (lo spazio è vuoto) o musicali - la partitura originale di Adolphe Adam è stata fatta a pezzi ma sbuca per rapidi cenni -, tutti si raggruppano volentieri per poi disperdersi, disegnando collisioni, o solitarie cadute a terra. Nel caos apparente, nessuno è protagonista o riveste un ruolo in esclusiva, tuttavia qualcuna si avvicina a qualcuno (la contadinella Giselle, che dà il titolo alla coreografia, al fedifrago Albrecht…forse) - e un gran botto di luci prima rosse poi verdognole indicano amore, morte, colpa: tra i danzatori c’è chi si batte il petto.

Nel secondo atto, Chris Haring con Liquid Loft (la sigla dei suoi collaboratori musicali e non), ha mantenuto il color carne delle calzamaglie, lo stesso nudo impianto scenico, gli interpreti d’ambo i sessi. Eppure qui dovremmo essere, secondo la fonte originale, nel mondo ultraterreno e femminile delle vendicative Villi, giovani morte anzitempo per tradimenti maschili. Di loro ci parla (malamente), al microfono, una danzatrice, spiegando il resto di una trama che si evince dal morbido, flessuoso e un po’ funebre ondeggiare di profilo degli interpreti, dall’apertura delle braccia con le schiene riverse all’indietro, segno di un soccombere sempre in agguato.

Ancora da precisare, questa Giselle fa riflettere e non sembra decorativa come tanti remake compiaciuti anche se i giovani ed energici danzatori non paiono ancora convinti di ciò che esprimono, ma siamo solo al debutto… Lo siamo anche nell’anteprima di Mars di Nicola Galli, ventiquattrenne ammaliato dal sistema planetario e qui autore e interprete di una danza formalistica avveduta, raffinata. In calzamaglia e calotta a stringergli testa e capelli, Galli si riscopre simile al Merce Cunningham di Changeling, magnifica trilogia di assoli del 1957, dal costume firmato Robert Raushenberg. La danza di Mars non è però “à la Cunningham”, è instabile a terra e in verticale: le linee cercano, però, l’assoluto e non fa male neppure il contraltare musicale per flauto “colto”di Salvatore Sciarrino.

Belle le anteprime di Civitanova Danza: anche Cantiere aperto per «Odio» confezionato dallo spagnolo Daniel Abreu per tre danzatrici della Fattoria Vittadini, convince. Ne abbiamo assaporato solo un boccone, ma già c’è l’idea di una femminilità offesa, rabbiosa, in sacrificio. Una bella dal seno nudo e in calzamaglia trasparente cosparsa di fiori, come tutto il palco del Teatro Annibal Caro, striscia, si dibatte a terra, finisce riversa sopra un’asse, tra girotondi e balzi felini delle altre due virago anche munite di bastone e inferocite. Ad Odio, nella sua forma compiuta, auguriamo, più che l’affastellamento di fascinose immagini, una musicalità interna: unica garanzia di riuscita anche per una pièce furiosa.

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