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Il fischio dei Coppola da Bernalda

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RIFLESSI NEL GRANDE SCHERMO

Il fischio dei Coppola da Bernalda

Francis Ford Coppola
Francis Ford Coppola

A Bernalda lo chiamano Agostino zumpabalconi, saltabalconi. Svelto a entrare nelle camere delle signore, gli capita però di confondersi. A diciotto anni, è il 1900, sbaglia finestra. Invece di entrare nella camera della servetta di un pezzo grosso del paese, entra in quella della moglie. Per sua fortuna lo attende il servizio militare a Forlì. Lì, lontano dalla sua Lucania, assiste alla Lucia di Lammermoor. È amore incondizionato, per la musica oltre che per l’opera di Gaetano Donizetti. Quando torna a casa, nel 1904, abbraccia la madre Filomena, che non vedrà più, e va in America, dove già stanno i fratelli. Sbarcando a Ellis Island, oltre alla musica e a molta speranza, porta con sé la genialità meccanica che gli viene da Ciccio Panio, l’ingegnere di Bernalda con cui ha lavorato, e che ha visto “aggiustare” il ponte girevole di Taranto con un solo gran colpo di martello...

Inizia da qui, da nonno Agostino, la storia americana dei Coppola: di Carmine, uno dei cinque figli di Agostino, e poi di Francis Ford (6 Oscar), di Talia Shire, di Nicolas Cage (Oscar nel 1995), di Sofia (Oscar nel 2004)... La ricostruisce Michele Salfi Russo in The Family Whistle – Il fischio di famiglia (Italia e Usa, 2016, 65’), la cui idea nasce proprio a Bernalda. Ero un ragazzino, racconta Russo, quando sentii da mio padre che eravamo imparentati con Francis Ford Coppola. Nel 1988 gli scrissi, e nel 2005 ero in sua compagnia «a Bernalda, e bevendo vino davanti al camino abbiamo iniziato a raccontarci storie di famiglia». Gran parte di quelle storie sono state cercate e ritrovate da Russo nella memoria dei suoi, anzi dei loro paesani, e ora sono nel suo piccolo film, insieme con immagini incerte e commoventi tratte da antichi filmati in bianco e nero di un mondo che non c’è più.

Come ogni famiglia di Bernalda, anche i Coppola avevano il loro fischio, spiega il grande Francis Ford. E subito ne accenna il sibilo con orgoglio. Siamo rimasti italiani, aggiunge. A conferma, si esibisce nella cucina dei lampascioni, aiutandosi con un sussurrato «Vicino ’o mare, tarirarira…».
«Conserva, ché troverai», si legge (in italiano) sulla maglietta di un Coppola d’America. Così hanno fatto, i figli del meccanico-musicista Agostino e poi i loro figli. Hanno conservato la memoria di misere case con una stanza sola, e di un solo piatto in cui mangiare, insieme con quella d’una bellezza immediata, popolare, che la nuova patria non ha potuto cancellare. Proprio come non ha cancellato il gusto dei lampascioni e di un bicchiere di vino, magari prodotto in cantina, come all’epoca del proibizionismo. Hanno lavorato, i Coppola, e insieme con loro i milioni di coraggiosi sbarcati all’ombra della statua della Libertà. Hanno mandato i figli a scuola. Hanno sofferto il disprezzo e le cattiverie dei nuovi “paesani”. Hanno combattuto la povertà, che però aveva smesso d’essere miseria. E ce l’hanno fatta.

Agostino, morto nel 1946, ha inventato il videophone, con cui venivano sincronizzati i primi commenti sonori dei film muti, e a cui è seguito il cinema parlato. Carmine, morto nel 1991, è stato primo flauto di Arturo Toscanini (sua è un’opera lirica dedicata a Sacco e Vanzetti, e suoi sono alcuni motivi di Il padrino - Parte II e di Apocalypse Now). Il suo amore per la musica, ereditato dal padre, è passato al figlio, per quanto solo indirettamente. Francis Ford gira i suoi film come fossero musical, dice la sorella Talia, attrice. Quanto a lui, non ha dubbi: «Tengo in vita Agostino imitando mio padre, che imitava lui». Intanto, avvicina la bocca a una cornetta, ci soffia dentro e ne tira fuori suoni che il nonno avrebbe trovato orribili. «Penso di essere una sorta di musicista che non sa suonare uno strumento», commenta poi ridendo.
Sono molti, oggi, i discendenti del vecchio e tenace Agostino zumpabalconi. Anzi, di Agostino super-balcony, come lo chiama un suo bisnipote raccontandone le gesta al proprio, di figlio. E quello sorride, intenerito e ancor più ammirato. Buon fischio non mente.

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