Cultura

Le soglie esagerate dell’Anvur

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VALUTAZIONE DELLA RICERCA

Le soglie esagerate dell’Anvur

Il governo politico della scienza e della formazione universitaria è una questione tremendamente seria e rischiosa. A volte, infatti, piccolissimi cambiamenti hanno implicazioni di enorme portata e potenzialmente dannose, che potrebbero sfuggire a chi fa le regole. Fatti accademici, apparentemente banali e routinari, che si stanno verificando in questi giorni meritano per questo di essere discussi, anche quando tutti guardano con ansia alle vacanze, per le implicazioni che comportano sul piano dell’etica e della qualità della ricerca e della formazione scientifica nel nostro paese.

Il decreto Gelmini (legge 240/2010) ha istituito l’Abilitazione Scientifica Nazionale (Asn), una procedura che, valutando in modo non comparativo la qualificazione scientifica dei candidati, fornisce, nelle intenzioni del legislatore, un “patentino” per partecipare ai concorsi locali, e non il diritto di avere un ruolo, un aspetto troppo spesso dimenticato dalle governance degli Atenei. Recentemente, due decreti (Dpr n.95/2016 e Dm n. 120/2016) hanno dato inizio alla nuova procedura individuando tre valori soglia e decidendo che il candidato che non raggiunga due valori soglia su tre non può essere preso in considerazione dalla Commissione. L’Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca (Anvur), ente pubblico incaricato dal ministero di gestire la procedura, ha recentemente pubblicato le tabelle con i valori soglia per ciascun settore concorsuale per gli aspiranti commissari e per i professori di prima fascia e di seconda fascia. L’analisi di queste tabelle desta non poche preoccupazioni, soprattutto per i giovani ricercatori che aspirano ad avere l’abilitazione per partecipare a futuri concorsi per professore associato. In alcuni settori dell’ambito biologico, infatti, la soglia prevede la pubblicazione di 10 lavori su riviste peer-reviewed in 5 anni.

Le implicazioni di questo numero, insignificante nella sua apparente banalità, sono inquietanti e bene ha fatto il Consiglio Universitario Nazionale (Cun) il 26 luglio a esprimere all’unanimità serissime e motivatissime riserve. Perché ciò significa, in primo luogo, che un giovane ricercatore che, per scelta o prassi del laboratorio in cui opera, abbia svolto un piccolo o piccolissimo ruolo in molti progetti divenuti lavori scientifici e abbia pubblicato molti lavori di livello medio o basso avrà la possibilità di essere valutato dalla Commissione, mentre un ricercatore che, per scelta o per prassi etica del suo laboratorio, abbia avuto la responsabilità di un progetto o abbia pubblicato pochi lavori di elevato (o elevatissimo) livello non avrà la possibilità di essere valutato dalla Commissione.

Se è così, quale giovane sceglierà di imbarcarsi in progetti difficili o complessi, che possono richiedere la messa a punto di nuove tecniche o strumenti e portare a risultati di qualità? E, se è così, chi continuerà a dire ai propri giovani collaboratori che essere autore di un lavoro scientifico è un privilegio che spetta solo a chi contribuisce in maniera importante e decisiva alla sua pubblicazione e che un lavoro scientifico non è merce di scambio? E, se è così, prospererà l’abitudine, immorale e purtroppo già diffusa, per cui tutti i membri di un gruppo (e a volte non solo, perché potrebbero esserci addirittura scambi tra gruppi) diventano autori di tutti i lavori del gruppo. L’intrapresa scientifica è una scelta etica e la buona scienza non si misura a chilogrammi, ma per quello che riesce a dare in termini di aumento delle conoscenze e di applicazioni. Così la snaturiamo, così non sarà più scienza, ma un’attività commerciale. E avremo una competizione truccata, scorretta e malata. Dove, tra chi potrà giocarsi le proprie chances, saranno sempre più numerosi i furbi, i cinici e gli spregiudicati.

Una scelta di questo tipo avrà conseguenze anche, se non soprattutto, sul sistema della ricerca italiana. Rita Levi Montalcini, tanti anni fa, disse che per poter svolgere un ruolo nell’agone mondiale la ricerca italiana non doveva inseguire i modelli di paesi economicamente più prosperi (enormi laboratori, modelli “industriali”) – che porterebbero al massimo a essere colonie o succursali di altri –, ma caratterizzarsi per la presenza di gruppi piccoli o medio-piccoli che svolgessero la propria attività in nicchie di ricerca in cui era inferiore la competizione con i più ricchi utilizzando modelli “artigianali” o “artistici”, dove sviluppare le proprie idee con serietà, dedizione e con la creatività che ci caratterizza.

Modificare la soglia non altererebbe l’impostazione della nuova abilitazione e non richiederebbe molto tempo. Ma eviterebbe il rischio o il peggioramento della deriva commerciale della scienza e spingerebbe i nostri giovani ricercatori a mirare alla qualità e al rigore piuttosto che alla quantità e al mercimonio.

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