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Umanoide, non umano

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L’EVOLUZIONE DEI ROBOT

Umanoide, non umano

Un robot  umanoide di ultima generazione
Un robot umanoide di ultima generazione

I robot sono una “specie” ancora in evoluzione. Si tratta di un mondo variegato: ci sono robot da intrattenimento, robot che si sostituiscono a noi o ci facilitano in alcune attività e robot in grado di salvare vite. Alcuni sono ormai indispensabili. I robot umanoidi sono una sottospecie e ambiscono a simulare e imitare l’uomo. Il rischio di restarne abbagliati è forte. Progettarli, costruirli e venderli implica investimenti che devono rispondere alle leggi del mercato e/o a criteri di utilità sociale. Soprattutto se questi investimenti sono pubblici. Non sempre, in Italia, è così. I robot hanno una storia antica. Il primo dibattito sulla robotica risale forse al medioevo.
Il termine «robot» nasce intorno al 1930 e denota oggetti che eseguono movimenti per mezzo di motori comandati da un sistema di controllo. In sostanza, un robot vive in un ciclo chiuso: percepisce i segnali, li elabora e muove le parti meccaniche in base ai risultati. Smontando un robot non si trova nessuna intelligenza, se non quella della persona che ne ha costruito il sistema e scritto il programma con un linguaggio dedicato.

Dal 1970 si producono robot per costruire oggetti di largo consumo. Oggi più di tre milioni di robot trovano utilità pratica nelle attività umane. Sicuri, affidabili, belli. Robot davvero speciali sono volati sulla Luna e su Marte. Altri sono stati inventati con scopi medici. Dopo milioni e milioni di prove, controllate una per una, i robot sono diventati essenziali in molte operazioni chirurgiche. La IFR (International Federation of Robotics) informa che nel 2015 la robotica industriale è cresciuta con percentuale a due cifre, come avviene da circa 20 anni.
L’Italia occupa un prestigioso ottavo posto, mentre sono in crescita alcuni Paesi asiatici. Secondo la IFR, cresce anche la presenza dei robot di servizio, come appunto quelli chirurgici. Nel 2014 ne sono stati venduti 978, al costo medio di un milione di euro ciascuno. C’è poi un mercato mondiale in crescita anche per i robot non industriali, come quelli utili nei servizi per la casa, i giardini e le piscine, la vita quotidiana.

Un capitolo diverso è la robotica con forme umanoidi, o somiglianti a esseri viventi anche non umani. Il mercato di questi robot è inesistente perché i problemi legali e giuridici, di assicurazione e di sicurezza sono immensi e non hanno trovato ancora giustificazioni per una soluzione razionale. La sicurezza è il dogma necessario per non rompere il rapporto magico tra queste macchine e l’uomo. Il panico causato a due anziani giapponesi da un robot giocattolo che si è attivato in piena notte, ha prodotto diversi articoli accademici. Quando, nei primi anni Ottanta, è stato costruito al Politecnico di Milano il robot Gilberto che già parlava, ascoltava, vedeva e si adattava a ogni visitatore parlando molte lingue, per centinaia di volte al giorno, ogni elemento era sotto controllo. Era stato progettato per essere affidabile.
L’affidabilità significa responsabilità totale. Chi è del campo sa che la robotica umanoide è piena di grandi annunci e promesse, accompagnati da silenziose sparizioni. Il progetto del robot cagnolino della Sony, programmato (e annunciato) per conquistare l’affetto di milioni di padroni umani, ha chiuso in silenzio. E cosa dire delle esibizioni del robot di Honda, in molte applicazioni comandato a voce da una persona dello staff, talvolta nascosta nel pubblico? È difficile giudicare la robotica che non interroga il mercato ma promette miracoli inutili e fuorvianti.

Di fronte a un investimento di decine di milioni di euro tra passato, presente e futuro, come quello per i robot promessi dall’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), c’è da chiedersi chi e con quali valutazioni abbia autorizzato continuativamente tale spesa, utilizzando fondi pubblici nazionali. iCub di IIT è stato preso a modello di comunicazione “fuorviante” sulla natura dei robot umanoidi dal noto neuroscienziato e divulgatore David Eagleman, che a pag. 188 del suo libro The Brain (Pantheon Books, 2015) spiega perché è sbagliato credere (o far credere) che quel manufatto sia intelligente, facendosi «ingannare» da segnali etologici che abbagliano l’osservatore, come gli occhi grandi, i tratti infantili, la voce gentile, etc. Non c’è «nessuna mente dietro i programmi» e la macchina esegue solo un “set di istruzioni”. L’intelligenza umana, sappiamo, è qualcosa di ben diverso.
Chi è del campo resta perplesso di fronte a investimenti pluridecennali su un progetto incerto, di cui non si comprende lo scopo, fermo alla ricerca del millennio scorso, senza mercato né all’estero né in Italia. Intanto, la robotica italiana cresce altrove e ha esportato ed esporta in tutto il mondo.

I punti eccellenti di sviluppo sono le Università, come quella di Parma che ha vinto in questi anni il Progetto DARPA (dell’Agenzia della Difesa degli Stati Uniti) per un percorso con un automezzo senza guidatore ed ha bissato il successo con un viaggio su strada da Italia a Pechino con un camion senza guidatore, ma anche i molti dipartimenti del Politecnico di Milano e del Politecnico di Torino, dove crescono solidi progetti di robotica industriale e non industriale.
Anche la robotica delle industrie italiane va guardata con rispetto. Sono le prime al mondo nell’integrazione dei robot nelle fabbriche e nelle applicazioni, distinguendosi per le caratteristiche di qualità, sicurezza, affidabilità. Il loro elenco è interminabile. I loro risultati la più chiara testimonianza.
La robotica italiana – che include ricerca, sviluppo, applicazione - è sempre stata orgogliosa dei prodotti richiesti e realizzati per un mercato realmente esistente, inserito nel mondo industriale verso il quale sa attuare trasferimento tecnologico. Trovandoci nella patria di Galileo e Leonardo da Vinci, si ha il diritto di esigere dal governo chiarezza e una riflessione attenta su come si investono i nostri soldi, in ragione di interessi comuni. Si metta a bando, aperto a tutti, ogni fondo pubblico destinato alla ricerca e all’applicazione della robotica. Vediamo chi ha le idee migliori.

– Politecnico di Milano Professore Emerito Università di Aeronautica ed Astronautica di Pechino

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