Cultura

Garibaldi e il suo «Obbedisco»: la mostra dei 150 anni a Bezzecca

  • Abbonati
  • Accedi
EVENTI

Garibaldi e il suo «Obbedisco»: la mostra dei 150 anni a Bezzecca

Giuseppe Garibaldi. (Afp)
Giuseppe Garibaldi. (Afp)

La campagna trentina di Giuseppe Garibaldi dell'estate 1866 va inquadrata nel contesto della terza guerra d'indipendenza, con le due sconfitte italiane - di terra a Custoza il 24 giugno e sul mare a Lissa il 20 luglio – compensate dalla vittoria della Prussia, nostra alleata, a Sadowa il 3 luglio. Soltanto Garibaldi aveva onorato la bandiera il 21 luglio, sconfiggendo gli austriaci a Bezzecca (anche se il prezzo della vittoria fu alto, perché il numero dei caduti garibaldini risultò molto superiore rispetto ai nemici). Con la pace di Vienna (3 ottobre), l'Italia aggiungeva un fondamentale tassello al processo di unificazione nazionale acquisendo il Veneto, che veniva però consegnato a Vittorio Emanuele II per il tramite di Napoleone III, il quale l'aveva ricevuto dall'Austria a compenso della neutralità francese.

Nella notte fra l'8 e il 9 agosto 1866 sfuma definitivamente il sogno di Garibaldi di «liberare» tutto il Trentino (o, come si chiamava allora, il Tirolo italiano). Mercoledì 8 in tarda serata a Firenze (in quegli anni capitale d'Italia) il Consiglio dei ministri presieduto da Bettino Ricasoli prende atto che «la Prussia non romperebbe il suo armistizio per sostenere il nostro», con riferimento all'avanzata italiana in Trentino. Poco dopo le sei del mattino seguente, dal Comando supremo di Padova, il generale Alfonso La Marmora invia un dispaccio a Garibaldi: «Considerazioni politiche esigono imperiosamente la conclusione dell'armistizio… d'ordine del Re ella disporrà quindi in modo, che per le ore 4 a. m. di posdomani 11 agosto, le truppe da lei dipendenti abbiano ripassate le frontiere del Tirolo».

In uno dei suoi libri sulla storia d'Italia, Indro Montanelli scrive che lo stato d'animo tra i suoi ufficiali e il corpo dei volontari era di delusione e di rabbia: un sentimento che Garibaldi condivideva. Prima di rispondere con il famoso «Obbedisco» ebbe la tentazione di disobbedire (le cronache raccontano che fece a pezzi il dispaccio di La Marmora, comandante dell'Esercito italiano), ma non aveva scelta.

La curiosa storia della “falsa” firma di Garibaldi
Nella mostra allestita nel Museo garibaldino di Bezzecca per i 150 anni della battaglia – aperta fino al 30 settembre, da mercoledì a domenica, orario 10/18 – è esposto per la prima volta il documento noto come “Telegramma di G. Garibaldi”, dove La Marmora trascrive e sottopone a re Vittorio Emanuele II il laconico messaggio di Garibaldi, conservato presso l'Archivio di Stato di Torino. Ma esistono altri due documenti che riportano lo storico «Obbedisco»: il telegramma con la firma autografa di Garibaldi partito da Bezzecca alle 10.11 del 9 agosto (oggi conservato presso l'Archivio centrale dello Stato a Roma) e la ricevuta del telegramma arrivato al Comando supremo di Padova alle 10.26, trascritto da un anonimo telegrafista, che riportò in calce il nome del mittente, G. Garibaldi.

La ricevuta del telegramma di Garibaldi (sopra) e la nota del generale La Marmora a re Vittorio Emanuele II con l'Obbedisco (sotto)

In passato si è fatta non poca confusione su questi documenti storici, come ha scoperto uno studioso e ricercatore delle vicende garibaldine, Leandro Mais: per il centenario della battaglia di Bezzecca, nel 1966, all'interno dell'edificio comunale veniva posta una lapide che riproduceva al posto dell'originale firmato da Garibaldi, quello di arrivo trascritto dal telegrafista di Padova. La “falsa” firma di Garibaldi è comparsa anche sulla copertina del catalogo di una mostra di cimeli, organizzata a Roma nel 1982 dal Circolo delle Forze Armate. Nel frattempo, dal 31 dicembre 2009, con la fusione di sei comuni della val di Ledro - compreso Bezzecca - è stato istituito il comune unico di Ledro.

Una vittoria inutile sulle Alpi?
Non possiamo azzardarci a dire che se l'Italia nel 1866 avesse ottenuto il Trentino e il Friuli dall'Austria, non avrebbe dovuto combattere la guerra del 1915-18, che ci costò 650mila caduti in battaglia e più di mezzo milione di vittime civili, includendo i decessi per fame o malnutrizione e i morti per l'influenza spagnola. Vediamo comunque più in dettaglio la situazione – civile e militare – del Trentino all'epoca della Terza guerra d'indipendenza.

Sul piano sociale la scarsa borghesia si trovava isolata rispetto alla maggioranza della popolazione di estrazione contadina filo-austriaca, sostenuta dal clero. Un caso a parte era Riva del Garda, per la sua posizione strategica soprattutto dopo la Seconda guerra d'Indipendenza del 1859, con il passaggio della Lombardia all'Italia. Riva del Garda era ricca di fermenti italiani, frutto di dibattito da parte di una nutrita schiera di intellettuali, in comunicazione con vari strati sociali non solo borghesi. All'arrivo dei garibaldini, il 24 luglio, gran parte delle autorità e delle truppe austriache abbandonano Riva del Garda e Arco.

Dal 22 al 25 luglio si consuma la possibilità decisiva per Garibaldi di arrivare a Trento. Con le sole truppe da lui comandate, non aveva le forze necessarie per occupare il Trentino, ma con l'avanzata del generale Giacomo Medici in Valsugana i due corpi di spedizione si sarebbero potuti congiungere in un paio di giorni. Inoltre Medici era seguito dalla divisione Enrico Cosenz: tutti assieme potevano sommare 50.000 uomini. Infatti il generale Franz Kuhn, comandante della divisione austriaca schierata nel Tirolo italiano, aveva espresso il parere che la linea del fronte non era più difendibile e preparava la ritirata per difendere Trento, mentre le avanguardie di Garibaldi si erano spinte fino a dieci chilometri dalla città. Giunge però inaspettata il 25 luglio la tregua di otto giorni firmata da Italia e Austria, poi prorogata fino al 10 agosto.

Nel libro da poco pubblicato dal Mulino «Italia 1866 – Storia di una guerra perduta e vinta» Hubert Heyriès, uno storico militare dell'università di Montpellier (vedi «Il Sole 24 Ore Domenica» del 24 luglio 2016) mette in evidenza che la linea di demarcazione fra i due eserciti, fissata il 27 luglio sulle Alpi e il 29 luglio nel Friuli, ci era favorevole: «Gli italiani occuparono o liberarono gran parte della Val Giudicaria, la Valle di Ledro fino al lago di Garda e la Valsugana, oltre a gran parte del Veneto, dall'Adige a Udine, con un avamposto a Manzano, a qualche chilometro dall'Isonzo e da Gorizia (pag. 152)». Inoltre qualche giorno prima il V corpo d'armata aveva ricevuto l'ordine di proseguire velocemente verso Trieste con una brigata di cavalleria. Anche per Heyriès l'esito della guerra italiana sulle Alpi del 1866 è stato probabilmente una vittoria sacrificata e inutile.

© Riproduzione riservata