Cultura

L’inchiostro dell’eremita laico

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SEBASTIANO VASSALLI (1941-2015)

L’inchiostro dell’eremita laico

Ci sono modi e modi per esprimere la militanza intellettuale. Si può essere scomodi e polemici come lo era Pasolini o fare ragionamenti all’acido muriatico (come Fortini) o addirittura attribuirsi un’identità che a volte sa di artificioso, di studiato a tavolino, di inautentico, come D’Annunzio, vate di un’Italia in cui forse nemmeno lui credeva veramente. Se proprio bisogna attribuire un’etichetta a questi Improvvisi comparsi sul «Corriere della Sera» tra il 1998 e lo scorso anno, possiamo dire che Sebastiano Vassalli li ha scritti con l’inchiostro dell’intellettuale contromano, dell’«eremita laico» (così lo definisce Roberto Cicala in una nota che accompagna il volume) o dello scrittore «biologicamente polemico» (che è invece una definizione di Paolo Di Stefano). Improvvisi come tuoni e saette, improvvisi come piccoli terremoti o come arringhe pronunciate sottovoce, ma ben scandite, senza mangiarsi le finali: tali paiono le puntate della rubrica e in ognuna di esse è contenuto il ritratto di chi li ha composti. Lontano dai salotti, fuori dalle rotte modaiole, a volte fin troppo agli antipodi rispetto ai fenomeni che gli è toccato vivere, Vassalli ha reso uno strumento sostanzialmente poco congruente con la sua natura di romanziere - come può esserlo una fiammata di parole lunga non più di mezza cartella - una straordinaria occasione per disegnare, a pezzi di un mosaico, la nostra epoca: quella che ha avuto inizio con la fine del secolo passato (il primo “improvviso” porta la data del 27 febbraio 1998) e si è protratta fino ai giorni tristi in cui l’insorgere della malattia lo ha costretto a chiudere i conti con le sue macchine da scrivere (e con la vita). Difficile stabilire dove finisce il narratore della Chimera e dove comincia l’editorialista graffiante, ma chi conosce l’opera di Vassalli scova in ognuno di questi testi i segni e i temi che hanno reso i suoi libri essenziali e irrinunciabili per comprendere il tempo che sta loro intorno. Vi ritrova, per esempio, la capacità di setacciare nelle zone più umili della Storia quelle notizie che poi diventano immaginario, cioè letteratura che s’intreccia ai destini umani e che assume l’aspetto delle grandi epopee inseguite invano dentro le rotte di un’età minimale. Vi reperisce il bisogno di delineare i tratti di un Paese che ha impiegato secoli per darsi un’identità nazionale, ma che spesso poi non ha saputo mettere a frutto gli sforzi e si è lasciato vincere dalle mille anomalie insite nel carattere degli italiani: furbi, mattatori, pronti a correre «sempre in soccorso del vincitore», come si legge in una di queste trecentoquarantaquattro puntate, prendendo in prestito da un aforisma di Ennio Flaiano. L’Italia che Vassalli passa in rassegna ha di sicuro il volto incerto e depresso del dopo Mani pulite e possiede pure le insicurezze e le ansie di una stagione che ha dato frutti proibiti sia sul terreno strettamente politico, sia su quello dei libri, della cultura, dell’editoria, che sembra camminare di pari passo con la crisi dell’economia. Eppure non è solo questa la nazione che Vassalli passa in rassegna domenica dopo domenica. Ce n’è un’altra ed quella longitudinale che comincia con il lunghissimo e pesante Novecento, che fa il verso ai grandi teoremi narratologici (leggerezza o liquidità?), si ammanta di ideologie e di utopie, transita dalla fase di incanto e di speranza a quella in cui qualsiasi pretesa di cambiare il mondo si spegne, vengono meno i maestri, tramontano le idee e se non ci fosse la letteratura con il suo enorme magazzino di storie, se mancasse questa reale e concreta fiducia nella parola (non di rado Vassalli dedica i suoi interventi a neologismi o a termini in disuso), sarebbe lecito non sforzarsi di intravedere più niente all’orizzonte, non aspettarsi di aggiungere alla pagina della modernità un’altra ancora, la successiva. La sensazione è che Vassalli avesse scoperto il sistema per non lasciarsi imbrigliare dai lacci del tempo minimo e della cronaca: credere nei libri. Non nei titoli soffiati in alto dalle classifiche che regolano il mercato, ma nelle scritture figlie di un dio che si chiama Omero.

Sebastiano Vassalli, Improvvisi 1998-2015, a cura di Roberto Cicala, prefazione di Paolo Di Stefano, Fondazione Corriere della Sera, Milano, pagg 424, € 14

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