Il fordismo è stato uno dei protagonisti del XX secolo. Creatore dell’industrialismo del ’900, il secolo delle grandi fabbriche, è all’origine della produzione e del consumo di massa. Le sue componenti sono molte, ma primeggiano quella organizzativa (la struttura gerarchica) e l’attenzione per le sequenze e i processi produttivi.
Il fordismo ha alla sua base il taylorismo, fortunata scoperta di un acuto ingegnere, Frederick Taylor (1856 – 1915), che applicò la sua capacità di osservazione e il suo ingegno ai processi industriali e fu il creatore dello “scientific management” (anche se Bruno Settis ricorda in questo libro che l’espressione fu coniata da un avvocato, Louis Brandeis, che sarebbe poi divenuto un famoso giudice costituzionale) e di quella branca dell’ingegneria che si chiama “industrial engineering”. Il taylorismo era fondato sull’eliminazione di spazi di autonomia degli operai (per lo più poco qualificati), sulla disciplina, sulla misurabilità e sull’articolazione dei processi produttivi in unità elementari e ripetitive, ciascuna affidata a una persona.
Alla dottrina di Taylor si affiancò la pratica di Ford – come dice Settis. Henry Ford (1863 – 1947) nel 1913 – 1914 introdusse la catena di montaggio mobile (quella di Tempi moderni di Chaplin). Non fu solo imprenditore e inventore. Fu anche “ingegnere sociale”: si oppose ai sindacati, aumentò i salari, promosse l’integrazione etnica. Il fordismo divenne presto una “ideologia” o un mito nei quali si mescolavano americanismo, sviluppo della produzione in serie, aspirazioni di modernità. Majakovski e Le Corbusier visitarono gli stabilimenti di Ford, e così anche Camillo Olivetti e Giovanni Agnelli. Sun Yat-sen, Lenin e Stalin furono tra gli ammiratori di Ford. Wilson pensò che il fordismo e l’”amministrazione scientifica” potessero essere applicati allo Stato. Il fordismo ebbe un buon terreno di cultura nella Prima guerra mondiale, tanto che un acuto studioso francese ha sottotitolato un suo studio del 1977 «dall’organizzazione della battaglia alla battaglia dell’organizzazione».
Su questo complesso fenomeno novecentesco ha scritto un gran bel libro Bruno Settis. Unendo perizia di storico ad acume di indagatore di fatti sociali e produttivi, ha tracciato l’arco del successo del fordismo, partendo dal 1908 (l’anno nel quale la prima autovettura modello T uscì dalla fabbrica Ford a Detroit) e arrivando fino al 1973 (l’anno di affermazione del toyotismo), muovendosi nell’universo mondo, dalla Unione sovietica e Cina fino all’Inghilterra, alla Francia, all’Italia, contestualizzando le diverse interpretazioni, facendo parlare tutti gli ammiratori del fordismo, da Max Weber a Camillo Olivetti, nonché quelli che l’hanno studiato, come Piero Gobetti e Antonio Gramsci, analizzando l’impatto del fordismo sulla fabbrica, nelle società, nelle ideologie, esaminando impresa e lavoro, governo politico dell’economia, cultura politica e elaborazione intellettuale, dai libri al cinema, alla letteratura.
Il fordismo di Ford – osserva Settis – si mosse in un vuoto di Stato, nei primi anni del secolo. Più tardi, con Roosevelt e il New Deal, la sua componente antisindacale era destinata a una rapida obsolescenza. L’organizzazione scientifica del lavoro, la razionalizzazione della fabbrica, l’ingegneria dei rapporti tra classi e Stato, il miglioramento delle condizioni di vita degli operai, la stessa espansione internazionale della Ford portarono a una espansione del fordismo, di cui Settis segue il percorso avvertendo che diffondendosi, il fordismo acquistò caratteristiche nuove, determinate dai diversi contesti. Influenzò l’industria inglese tardi e male. Ebbe grande successo in Germania, estendendosi persino all’edilizia. Affascinò il comunismo russo, interessato alla disciplina del lavoro e dalla grande fabbrica, che lo introdusse anche nel settore navale. Ebbe séguiti in Francia persino nell’architettura, grazie a Le Corbusier, e nell’amministrazione pubblica, grazie a Fayol. Influenzò Giappone e Cecoslovacchia.
In Italia, gli Olivetti e gli Agnelli furono tra i principali osservatori e seguaci del modello fordista, nei confronti del quale contrassero numerosi debiti. Ma anche Mussolini, Gobetti, Carlo Rosselli, Silvio Trentin, Antonio Gramsci furono molto interessati al fordismo.
La conclusione di Settis è che il cambiamento del contesto negli Usa e la diffusione in ambienti tanto diversi (si pensi alla distanza tra liberismo americano e statalismo mussoliniano) fecero assumere al fordismo caratteristiche diverse, donde il plurale del titolo del libro.
Bruno Settis, Fordismi. Storia politica della produzione di massa, il Mulino, Bologna, pagg. 318, € 29
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