Cultura

Se l’economia sfugge alla letteratura

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PIER LUIGI CIOCCA

Se l’economia sfugge alla letteratura

Ai confini della scienza economica succedono molte cose. Sono confini porosi, a due vie. Gli economisti, inquieti, fanno sempre più numerose scorribande nei territori non ben presidiati da altre scienze sociali. Si intrufolano, a volte maldestramente, nella vasta area della filosofia, discutendo di utilità e perfino di felicità. Non è chiaro quanto bene abbia fatto all’economia la missione che sembra essersi data di allargarsi oltre il proprio dominio tradizionale, nel quale parecchio terreno resta ancora da dissodare. Le fa male se la porta a ignorare o minimizzare ciò che la scienza economica deve, consapevolmente o meno, a chi sta oltre i suoi confini: appunto la filosofia, la storia, la demografia, il diritto, anche la sociologia e l’antropologia se di buona qualità.
Pierluigi Ciocca, uno dei più colti tra gli economisti italiani, propone una serie di saggi, alcuni già pubblicati altri inediti, sugli scambi che si verificano al confine della scienza economica. L’autore sa bene che questi scambi sono mutuamente vantaggiosi ma in questo libro preferisce concentrarsi sui vantaggi che ne trae l’economia, sia per l’approfondimento teorico – è il caso del saggio di apertura, «Clio e la teoria economica», di quello su «Tempo logico e tempo storico» - sia per una più fertile comprensione della realtà.

Il lettore troverà in questo libro molte piccole sorprese, domande inaspettate, tutte “ai confini”. Quanto erano “capitalisti” i babilonesi? Machiavelli si proclamava digiuno di economia ma non lo era affatto. Capiva, da precursore del colbertismo, sia lo Stato promotore di sviluppo sia l’importanza di una solida base economica per la stabilità dello Stato. Il brigantaggio nel Mezzogiorno post-unitario, del quale pure tanto si è scritto, si rivela, numeri alla mano, importante fattore di ritardo economico nell’età della Destra. Sul piano del metodo, ci sono riflessioni interessanti circa il rapporto tra economia e diritto.

Ma come si narra l’economia? Dal secondo dopoguerra, gli economisti parlano con simboli ed esercizi econometrici. Così si intendono tra loro. Spesso non basta. Se ne sono accorti i banchieri centrali che hanno dovuto accettare la comunicazione come momento decisivo della loro “arte”. Non è solo che cosa si dice ma anche come lo si dice a incidere sulle decisioni di milioni di persone. I banchieri centrali però si preoccupano, di volta in volta, di chiarire od oscurare, non di fare letteratura. Alcuni economisti italiani erano invece veri e propri letterati posto che, secondo Ciocca, la letteratura non si definisce per l’oggetto della narrazione, «stile, forza espressiva, capacità di “prendere” o emozionare il lettore possono raggiungersi anche quando l’oggetto del narrare viene per consuetudine o convenzione assegnato all’economia politica» (pagina 175). Pantaleoni, de Viti de Marco, Sraffa, Ricci, Mattioli, Carli sono citati come esempi di scrittori, letterati nell’accezione di Ciocca, capaci di inchiodare il lettore alla pagina, di attrarlo con prosa limpida, scorrevole, elegante, perfino piacevole. Non senza un goccio di veleno polemico, Ciocca si rivolge agli economisti odierni: «Come si può pensare di pervenire al rigore geometrico, matematico, statistico, logico o che a tale rigore venga data fiducia, quando non si annette prioritaria importanza all’ordinary discourse nella forma e nell’efficacia persuasiva» (pagina 177).

Nell’ultimo capitolo, il rapporto è capovolto: la letteratura per eccellenza, il romanzo, contribuisce a farci capire l’economia? Ciocca legge sotto questa luce i cento romanzi italiani che Giovanni Raboni ha selezionato come i più importanti del ventesimo secolo. La sua tesi è che la letteratura italiana ha capito poco dello sviluppo, per un secolo assai robusto, del sistema produttivo. Povertà, emarginazione, emigrazione, speculazione egoista e sfrenata riempiono alcune (Ciocca dice troppo poche) pagine di Verga, Deledda, Silone, Levi e altri ma si tratta, sostanzialmente, di visioni statiche. Alla grande letteratura italiana sono largamente sfuggite le enormi trasformazioni dell’economia nel corso del Novecento. Nei cento romanzi considerati, Ciocca non trova l’elogio delle virtù borghesi, presente in altre culture, «presupposto basilare dello sviluppo capitalistico, attraverso l’innovazione e il progresso tecnico apportati dagli imprenditori e dai capitalisti (...). Spesso nei confronti dell’economico e delle sue ricadute prevale l’avversione» (pagina 216). Non è questione da poco. La cultura, quella “alta” e quella “diffusa” si influenzano a vicenda e insieme riflettono e creano comportamenti sociali ed economici sui quali si fondano, in tanta parte, arretratezza e crescita. Molti potranno dissentire dalle conclusioni di questo capitolo inedito. Il tema sollevato merita, comunque, attenzione e riflessione. Per meglio capire l’Italia in cui viviamo.

Pierluigi Ciocca, Ai confini dell’economia. Elogio dell’interdisciplinarità, Nino Aragno, Torino, pagg. 236, € 20

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