Cultura

Senza l’oppio della speranza

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OCTAVE MIRBEAU (1850-1917)

Senza l’oppio della speranza

A fare de Le perle morte di Octave Mirbeau (1850-1917) dei gioielli ancora più preziosi (e in parte inediti in Italia), nell’antologia appena uscita per il Canneto ci sono la raffinata traduzione del poeta genovese Albino Crovetto e un’elegante e dotta introduzione di Ida Merello. Si tratta di cinque racconti grotteschi e onirici scritti da Mirbeau tra il 1882 e il 1900; usciranno nell’edizione integrale dei Contes cruels soltanto nel 1990 e partire dal titolo, che riprende quello del suo scrittore più amato, Villiers de l’Isle-Adam, ne dichiarano il fil noir conduttore, la crudeltà in tutte le sue forme. Sono infatti un mirabile esempio di crudeltà della vita e della condizione umana, che nella visione di Mirbeau è sempre assurda e tragica, dominata da un universo senza Dio e mai rischiarata «dall’oppio della speranza». Crudeltà degli uomini, naturalmente inclini al male, al crimine e alla violenza (non ne è esente nemmeno una bambina, l’inquietante protagonista di La Chambre close, raffigurazione celestiale dallo sguardo «innocente» che a un certo punto si rivela al narratore diabolica, «implacabile, crudele, omicida»), crudeltà della donna che sbeffeggia e schiaccia l’uomo (La Tête coupée, emblema granguignolesco della ferocia sottesa a ogni rapporto di coppia), e crudeltà in generale di una società corrotta e inumana, che riduce la maggior parte degli uomini allo stato di «larve in putrefazione». E la crudeltà è anche la cifra poetica dell’autore; memore della lezione di Maupassant, il quale però si limitava a dipingere il patetico, l’ironico e il mostruoso senza volerne trarre un fine didattico o polemico, Mirbeau non cela la sua «indignazione disperata» di fronte a tutto «l’orrore nascosto» sotto ogni superficie, che emerge quando la stessa crudeltà, insieme al delirio e al desiderio, «si fanno troppo urgenti e diventano irrefrenabili» (dall’introduzione di Ida Merello). La penna di Mirbeau, nota all’epoca anche per i suoi «implacabili», spietati pamphlet sull’Affaire Dreyfus e per i suoi infaticabili Combats littéraires e esthétiques intrisi di denuncia, è realmente «inclassificabile» anche in questi splendidi racconti, che sono un voyage au bout de la nausée e mirano a scoperchiare, a smascherare la «decomposizione delle carni e la corruzione delle anime» (Serge Duret). Fra tutti i personaggi spicca Clara Terpe di Les Perles mortes, sorella dell’omonima protagonista del Jardin des supplices (in cui il racconto verrà ripreso), isterica, sadica, «straordinaria femme fatale assetata di godimento» (Merello) che verrà punita per le sue soifs innasouvies con una misteriosa malattia del corpo e dell’anima, un’inguaribile elefantiasi (dietro cui si cela la nevrosi) che ne corrode e ne sfigura inesorabilmente la bellezza. Femme damnée devastata fuori e dentro Clara si rifugerà nella sua ultima, ennesima, «ossessiva passione», le perle, le quali essendo «vive», al contrario di lei che pare venire da un incubo o da un al di là su cui regna Satana insieme a Eros e Thanatos, al contatto con la sua pelle contaminata «dall’infame morbo» scoloriscono, si incupiscono, soffrono poiché «la carne che abbelliscono soffre», fino a diventare «una minuscola sfera di cenere». E tuttavia, anche se morte, le perle di Mirbeau, grazie alla sua potenza narrativa e al suo stile ironico, cinico, lucidissimo, che svela, come afferma Pierre Michel, les maux avec les motsattraverso «un’estetica della rivelazione» senza pari, riescono a formare una superba, sfavillante collana, che al contatto con la «carne vivente» (la mente) di anime nobili, non smetteranno mai di brillare. E del resto, come insegna Flaubert, «non sono le perle che fanno la collana: è il filo».

Octave Mirbeau, Le perle morte e altri racconti, a cura di Ida Merello, traduzione di Albino Crovetto, Il Canneto editore, Genova, pagg. 88, € 8

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