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Vite tragiche dal fronte

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SECONDA GUERRA MONDIALE

Vite tragiche dal fronte

Eduardo De Filippo nei panni di Gennaro Iovine, il reduce del film «Napoli milionaria» (1945)
Eduardo De Filippo nei panni di Gennaro Iovine, il reduce del film «Napoli milionaria» (1945)

Ricordate la scena iniziale di Tutti a casa, il film di Comencini scritto con Age e Scarpelli e mirabilmente interpretato da Alberto Sordi nella parte di un graduato che l’8 settembre del ’43, davanti all’improvviso fuoco tedesco, telefona ai suoi capi dicendo che è successa una cosa incredibile, che i tedeschi si sono alleati con inglesi e americani? Lo stesso sbalordimento dovettero provarlo migliaia e migliaia di soldati al fronte, nel rivolgimento di un anno fatidico e dalle conseguenze per tanti di loro imprevedibili. In quel film compariva anche, come padre fascista e nazionalista di Sordi, Eduardo De Filippo, che nel già lontano ’45 impersonava nel suo Napoli milionaria Gennaro Iovine, il reduce di cui nessuno, preso dagli affannosi problemi della fame e della sopravvivenza in mezzo alle macerie della storia, vuole ascoltare i ricordi (una scena simile c’è anche nei Dieci comandamenti di Viviani, di pochi anni dopo).

Grande era la confusione nell’Italia del tempo, e grande il disorientamento di chi tornò dalla prigionia, spesso – come accadde a tanti reduci dai campi inglesi e americani, anche d’Africa e d’India, rimpatriati addirittura nel ’47 – trovandosi in un Paese dai valori rovesciati rispetto a quelli del tempo in cui erano partiti, diventato nel frattempo repubblicano e democratico. Problemi particolari riguardarono i nostri militari fatti prigionieri dai tedeschi, che Hitler volle considerare prima «internati militari» e poi «lavoratori civili» per non dover riconoscere il nostro Regno del Sud. Ma ogni situazione era infine particolare, quelli fatti prigionieri dai tedeschi, quelli fatti prigioniero dai nuovi Alleati... Alcuni, quelli della Russia, rientrarono ancora più tardi in ragione della guerra fredda e dello stalinismo, e furono quelli di cui si parlò di più, a cui si dedicarono più attenzioni anche se non sempre per motivi degni.

Le storie che Gabriella Gribaudi ha raccolto con i suoi allievi dell’Università di Napoli riguardano soprattutto la Campania, ma rappresentano bene anche il resto del Paese. Fanno parte di una sorta di archivio di interviste che è nato dalla decisione di Gribaudi, nel 1995-98, di procedere a una ricerca collettiva sui modi in cui era stata vissuta la guerra nella parte d’Italia che era quella da cui venivano le sue allieve e i suoi allievi. Quel lavoro dette origine a uno dei pochi grandissimi libri italiani dei primi anni del nuovo secolo, Guerra totale. Tra bombe alleate e violenze naziste Napoli e il fronte meridionale 1940-44 (Bollati Boringhieri 2005), che non si esita a paragonare a quelli della Aleksievic per la tensione morale che lo ha animato e per il rispetto assoluto degli intervistati e delle loro opinioni. È alle convinzioni di un’altra donna, la storica Natalie Zemon Davis, che Gribaudi ama confrontare il suo lavoro, citandola: «L’idea che alla gente modesta o cresciuta in ambiente analfabeta non rimarrebbe alcun modo di lasciare traccia mi disturba. Posso scrivere su grandi personaggi, sulle regine e sui re, ma non mi sento proprio una storica al loro servizio. Hanno avuto i loro storici. Sono gli altri che hanno bisogno di me!».

Due cose colpirono maggiormente in Guerra totale: la narrazione dei terrificanti bombardamenti alleati che rasero al suolo intere città o quartieri accanendosi anche sulle abitazioni civili, che ha potuto ricordare ai lettori più “letterati” le opere di Sebald o di Vonnegut, ma che in Italia ben pochi avevano avuto il coraggio di affrontare, e il capitolo che riguardava “le marocchinate”, le donne fatte oggetto in massa di violenza sessuale da parte delle truppe francesi formate da nord-africani, che sembrava avessero licenza di stupro (una storia angosciosa anche nelle conseguenze sulla vita di quelle donne, ricostruita con partecipe apprensione nel libro da Gribaudi e da molte sue allieve, che sono riuscite a intervistare anche qualche sopravvissuta o i loro consanguinei, scoprendosene talvolta concittadine; una storia che in Italia venne rese nota, anche se negli anni Quaranta non c’era chi non ne avesse sentito parlare, dal romanzo di Moravia La ciociara e dalla riduzione cinematografica che ne fece De Sica con la Loren).

La formazione intellettuale di Gribaudi gli ha permesso una libertà e un’ampiezza di sguardo che pochi storici della sua generazione possono vantare. Torinese, ha studiato con Rossi Doria a Portici e intrecciato storia e sociologia in modi originali e forti. Ci sono due suoi lavori che sono ancora memorabili: Mediatori. Antropologia del potere democristiano nel Mezzogiorno (1980), che è probabilmente il miglior studio mai realizzato sul modo di governare democristiano a partire dalle province, su quella fittissima rete di relazioni e protezioni che della Dc sono state la forza e, progressivamente, la debolezza; e A Eboli, Il mondo meridionale in cent’anni di trasformazione (1999) che ha studiato le mutazioni sociali di un paese il cui nome venne rese noto dal grande libro di Carlo Levi, ma dove la storia non si era in realtà mai arrestata.

L’ultimo lavoro di Gribaudi dà la parola a decine e decine di personaggi ben reali, che raccontano le loro disavventure, così spesso tragiche, e la loro confusione del tempo, frastornati tra propaganda fascista e realtà bellica, tra fedeltà alla nazione e arte di arrangiarsi, tra confusione ideologica e istinto di sopravvivenza, tra retoriche di vario ordine (quelle, per esempio, di chi è stato prigioniero degli americani in Texas o di chi lo è stato degli inglesi in Africa o in India, dei russi in Urss) e ritorni a casa estenuanti e scioccanti. La “zona grigia”, la “gente comune”...
Ci sono nel libro storie che commuovono fino alle lacrime per quanto raccontano di solidarietà e di amicizia, di dedizione e di coraggio, e ce ne sono di angustianti per il loro carico di sofferenza o di crudeltà, e sono storie di soldati di prigionieri di reduci che riguardano anche le loro famiglie. «Torna ogni nave e tu non vuoi tornare, / che lacrime amare / io piango per te», diceva una canzonetta celebre in tempo di guerra e dopoguerra...
La guerra è stata anche questo, il difficile ritorno a casa in un mondo cambiato e di fronte a nuove difficoltà, anche di fronte a nuovi messaggi politici e a nuovi schieramenti, a nuove difficoltà e a nuove concretissime fatiche. La nottata di cui parlava Gennaro Iovine in Napoli milionaria è stata lunghissima, e non è certamente finita di un colpo.

Gabriella Gribaudi, Combattenti, sbandati, prigionieri. Esperienze e memorie di reduci della Seconda guerra mondiale, Donzelli, Roma, pagg. 230, € 28

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