
«Interroga la vecchia terra: essa ti risponderà sempre col pane e col vino». Queste parole dell’Annunzio a Maria di Paul Claudel esprimono in modo essenziale il valore simbolico archetipico di questi alimenti primari e basilari, anche se essi non sono del tutto universali. Infatti, l’elemento basilare del nutrimento per i cinesi è il riso, per l’America precolombiana era il mais, per gli Eschimesi è la carne di foca, mentre gli antichi Egizi – che pure ci attestano quaranta tipi differenti di pane – usavano piuttosto lo stereotipo «pane e birra». Il pane rimane, comunque, un segno decisivo in tutte le culture tanto che è possibile parlare di una vera e propria “civiltà del pane”. È proprio questo il titolo di un imponente trittico di volumi che raccoglie il frutto di una pluriennale ricerca interdisciplinare sfociata in un convegno internazionale svoltosi a Brescia nel dicembre 2014, in connessione con l’Expo di Milano che aveva messo a tema, come è noto, il cibo. La S. Sede, in quell’occasione, aveva scelto di coprire le pareti esterne del suo Padiglione con due motti biblici emblematici: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» e «Non di solo pane vive l’uomo».
Si rimane veramente stupiti di fronte a questa indagine così minuziosa ed enciclopedica che trasforma la pagnotta che ancor oggi è sulla nostra tavola in una sorta di pianeta la cui mappa è impressionante. Basti soltanto elencare le scansioni tematiche di quest’opera. Si parte dalla materia prima e dagli strumenti primari di elaborazione (cereali, mulini e mercati), si passa alla panificazione nelle sue varie tipologie e alla vendita, ci si inoltra all’interno delle cucine e delle diete, ci si sofferma a contemplare le immagini artistiche in tutte le loro possibili declinazioni, compreso il cinema, si penetra nella sacralità della simbologia religiosa e del complesso sistema di allegorie e si approda al pane che è alla base della nutrizione quotidiana nei vari paesi del mondo. Forse, si sarebbe anche potuto aprire uno squarcio sulla fame e sullo spreco sconcertante, due volti antitetici ma correlati dell’odierna civiltà del pane.
La fredda elencazione che ora abbiamo proposto non rende conto della straordinaria ricchezza, vivacità, policromia tematica e storica dispiegata nelle oltre duemila pagine della trilogia, attraverso la ricerca di un centinaio di studiosi convocati attorno a una realtà che è sia materiale sia metaforica, pietra viva miliare dell’umanità sedentaria, segno permanente da millenni del nostro stesso esistere fisico e spirituale. L’auspicio è che quest’opera, curata da Gabriele Archetti dell’Università Cattolica di Milano e posta sotto l’egida del Centro studi longobardi, entri in tutte le biblioteche pubbliche perché attraverso la storia del pane si riesce a rappresentare la stessa vicenda umana nella molteplicità delle sue espressioni (non per nulla Sant’Agostino dichiarava: «Il pane racconta la vostra storia»). È una sorta di ritratto antropologico nel quale ci specchiamo, riconoscendo una certa verità al celebre motto assonante Der Mensch ist was er isst che Feuerbach propose in un suo articolo del 1850. Sì, il pane è un po’ anche ciò che noi siamo, pensiamo, facciamo, speriamo, crediamo.
Vorremmo, perciò, dedicare liberamente qualche cenno al valore simbolico di questo alimento, per altro ampiamente sviluppato nei saggi dell’opera dedicati ai «simboli religiosi e alle sacre allegorie», tenendo conto soprattutto di quel “grande codice” della nostra cultura che è la Bibbia per la quale esso è tout court sinonimo di “cibo”. Basterebbe solo rileggere il monito della Genesi: «Con il sudore del tuo volto mangerai il pane» (3,19) o ripetere la citata invocazione del «Padre nostro»: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano», o replicare il detto biblico che Gesù oppone al Satana tentatore: «Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Matteo 4,4). È curioso notare che in ebraico il termine lehem, “pane”, ha alla base la stessa radice che regge il vocabolo “guerra”, allusione forse a una conquista primaria dell'esistenza. Certo è che il pane – se stiamo alla Bibbia – evoca molteplici significati: è dono divino (Salmo 104,14-15), è metafora della sapienza (Proverbi 9,5), è segno celeste (la manna è chiamata «pane del cielo» e «pane degli angeli»).
Anzi, si arriverà al punto di rappresentare le dodici tribù di Israele davanti al Signore attraverso due pile di sei pani ciascuna, poste nel tempio di Sion e chiamate «i pani della faccia» (o «della proposizione») perché collocate davanti all’arca dell’alleanza e quindi al volto di Dio: nell’arco di trionfo di Tito a Roma è raffigurata anche la tavola di questi pani, depredata durante la conquista di Gerusalemme del 70. Il pane riceve, perciò, un valore aggiunto sacrale, come è testimoniato dall’arcaico racconto dell’incontro tra Abramo e il re-sacerdote Melchisedek di Salem: costui «offrì pane e vino» al patriarca biblico, espressione di sostegno materiale al clan ospite ma riletto in chiave rituale già dal testo della Genesi (14,18-24) e in prospettiva eucaristica dalla tradizione cristiana.
E qui siamo condotti senza fatica alle parole di Cristo nella sinagoga di Cafarnao: «Non Mosè vi ha dato il pane del cielo, ma il Padre mio vi dà il pane del cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo… Io sono il pane della vita… Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Giovanni 6,32-35.51). E nell’ultima sera della sua vita terrena Gesù sul pane della cena pasquale pronunzierà le parole che faranno di quell’alimento così comune e quotidiano la presenza costante di Cristo nella storia: «Prendete e mangiate: questo è il mio corpo» (Matteo 26,26). Tra parentesi, non bisogna dimenticare che nell’antico Vicino Oriente il pane non poteva essere tagliato, quasi per non ferirlo, come se si trattasse di una persona. Esso veniva solo spezzato (vedi Isaia 58,7).
«Spezzare il pane» diverrà, così, nel cristianesimo una locuzione per indicare l’eucaristia, come si nota nel racconto degli Atti degli Apostoli (2,42) ma soprattutto nella splendida narrazione dei viandanti di Emmaus: «Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero» (Luca 24,30-31). Quel pane, che Cristo aveva moltiplicato per saziare la fame dei poveri che lo seguivano, è così spezzato tutti i giorni per la fame dello spirito.
In sintesi potremmo dire che il pane ci rimanda, da un lato, alla tragedia della miseria e della fame del mondo, una tragedia che potremmo esprimere coi celebri versi danteschi del conte Ugolino: «Pianger sentì fra ’l sonno i miei figliuoli / ch’eran con meco, e domandar del pane» (Inferno XXXIII, 38-39). Ma il pane, d’altro lato, ci rimanda anche al cibo dell’anima, all’eucaristia, che è «comunione col corpo del Signore… ed è un solo pane perché, pur essendo molti, siamo un corpo solo» (1Corinzi 10,16-17). E, di conseguenza, il pane ci conduce all’amore e alla misericordia, come ricordava simbolicamente Manzoni nel cap. 4 dei Promessi Sposi, attraverso quel «pane del perdono» che padre Cristoforo implora al fratello del cavaliere da lui ucciso.
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