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Estinguersi, che perdita

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la mostra al Muse di trento

Estinguersi, che perdita

Ominide. Riproduzione di un Neandertal nell'ambito della mostra «Estinzioni» al Muse di Trento
Ominide. Riproduzione di un Neandertal nell'ambito della mostra «Estinzioni» al Muse di Trento

Una mostra sull’estinzione è una mostra sulla vita, con un retrogusto particolarmente amaro. Non tanto per l’estinzione in sé - processo che ha a che fare con la perdita, ma che è allo stesso tempo motore del processo evolutivo – quanto per la consapevolezza ormai consolidata che siamo alle porte del sesto grande evento di perdita di vita nella storia del pianeta, la sesta estinzione di massa, di cui siamo causa.

C’è, infatti, diffuso consenso in ambito scientifico nell’indicare Homo sapiens, oggigiorno, quale principale minaccia alla vita sul pianeta, in particolare la nostra stessa vita. Il rapporto tra uomo ed estinzioni è profondo, intimo potremmo dire. Fin dalle nostre origini, infatti, ogni volta che la concentrazione di umani in popolazioni numerose e stanziali o semi-stanziali aumentava, in particolare durante intervalli climatici svantaggiosi, la fauna che originariamente abitava quei luoghi era pesantemente ridotta di numero o, in alcuni casi, completamente estinta.

In sintesi ogni volta che la nostra specie è arrivata in un luogo per la prima volta, specialmente se si trattava di un’isola, per buona parte della fauna e di alcuni degli ecosistemi originari è stata la fine. La vita sul nostro pianeta è dominata da due grandi processi naturali, che ne determinano un equilibrio in continuo mutamento: speciazione ed estinzione. La speciazione è il processo di nascita delle specie. L’estinzione la loro morte. Per affermarsi le specie devono imporsi le une sulle altre, in una perenne competizione per le risorse, all’interno di un complesso sistema di pressioni selettive, eredità storiche e contingenze. Ogni volta che una specie soccombe, si estingue. Scompare definitivamente dal pianeta.

Ci sono stati cinque momenti particolari nella storia del pianeta, in cui cambiamenti ambientali su scala globale hanno portato all’estinzione la gran parte delle specie che c’erano al tempo, a causa della loro incapacità di adattarsi ai cambiamenti con sufficiente rapidità. Questi momenti sono le grandi estinzioni di massa. Dallo studio delle estinzioni del passato sappiamo quali sono le ragioni che hanno determinato, in momenti specifici della storia della vita, la scomparsa di milioni di specie. In breve e in tutti i casi: l’alterazione rapida degli ecosistemi su scala globale. Se dovessimo identificare un simbolo di questo cambiamento, componente chiave di tutte le grandi estinzioni del passato (come fosse il preoccupante odore di gas prima dell’esplosione) non potremmo non pensare alla CO2, l’anidride carbonica.

E oggi? Osservatorio di Mauna Loa, Hawaii, 25 Luglio 2016, misurazione dell’anidride carbonica atmosferica: 404.02 parti per milione, da oltre 20 milioni di anni questo valore non era così alto. E non abbiamo alcun dubbio: in grandissima parte tale concentrazione è dovuta alle attività umane su scala planetaria. È una sorta di innesco per la sesta estinzione di massa. Antropocene diranno i paleontologi del futuro, definendone il contesto: l’era dominata dall’impatto umano. C’è un elemento sostanziale che impensierisce più di tutti gli altri: sembra che la grandissima maggioranza di noi, e di conseguenza della società nel complesso, non tenga conto di un’informazione tanto banale quanto essenziale.

Prima di essere europei, asiatici o africani, di questa o quella religione, ancora prima di riconoscerci come esseri umani, dovremmo essere consapevoli della nostra condizione di organismi. Proprio come tutti gli altri, come le mosche e i leoni, i camosci o le libellule, o come i coloratissimi platelminti che lentamente si muovono sul fondo dei mari. In qualità di organismi, siamo parte del sistema ecologico globale, completamente dipendenti da una complessa rete di relazioni che “gestisce” i flussi di energia e rende la vita sulla Terra la cosa incomparabilmente bella che conosciamo.

Oltre la bellezza c’è da dire che il sistema funziona benissimo, è, infatti, la cosa più efficiente che ci sia al mondo e garantisce a tutti gli organismi (che ne sono una parte integrante) tutto ciò di cui c’è bisogno. Il caso dell’uomo è il primo in cui, nel corso della vita sulla terra, un organismo può consapevolmente guardare a se stesso e prendere delle decisioni che possono radicalmente cambiare la propria esistenza (in realtà ci sono molti altri animali che prendono decisioni al di fuori dell’istinto, ma certamente con livelli di complessità molto inferiori a quelli umani). Crediamo di poter affermare che molte di queste decisioni potevano essere prese meglio. E lo sappiamo da tempo.

Già nel 1968 Aurelio Peccei, imprenditore e manager Fiat, organizzò una riunione informale a Roma, in cui una trentina di esponenti del mondo della scienza, dell’economia e della sociologia si confrontarono sull’insostenibilità del continuo aumento della produzione e del consumo da parte dell’uomo, senza considerare la capacità di carico del pianeta. Da allora le evidenze accumulate sulla gravità della situazione sono schiaccianti e incredibilmente preoccupanti (la letteratura scientifica sull’argomento è vastissima).

Non tutti se ne preoccupano però, o non come dovrebbero. Il mondo economico mainstream sembra tenere la testa in un visore per realtà virtuale, una realtà dove, forse per magia, l’uomo del futuro, con dei trucchi, riuscirà a far proseguire il sistema attuale all’infinito o, forse, la strategia è riempirsi le tasche adesso e poi si vedrà. C’è quindi bisogno di un cambiamento sostanziale, teoretico ed etico, che richiede un grande sforzo a livello individuale prima che sociale, un mutamento che permetta di percepire il proprio ruolo non più come centrale, ma come relativo, all’interno di un sistema complesso ben più vasto e dal quale siamo completamente dipendenti.

Dovrebbe esistere un ambito multidisciplinare in cui ecologia, biologia, scienze cognitive, scienze sociali ed economia interagiscono per fare in modo che ogni essere umano, fin da bambino, possa ricevere un’educazione alla propria vita sul pianeta, in quanto organismo, forte di tutte le conoscenze accumulate fino a oggi e tale da permettergli di fare delle scelte che non siano pericolose per se e per gli altri. Importantissimo, la scelta della rappresentanza politica deve essere fatta da persone consapevoli dei valori in gioco, combattere l’analfabetismo ecologico deve diventare una priorità assoluta.

Ciò che ci preoccupa davvero tanto, non è ciò che è raccontato nella mostra in questo periodo aperta al Muse di Trento, ma la prossima mostra sull’estinzione, quella che si terrà nel 2020 o nel 2030, forse nuovamente al Muse o in qualche altro istituto, quella in cui accanto ai preziosi reperti originali delle passate estinzioni e alle tante affascinanti storie a cavallo tra catastrofe e opportunità, ci saranno le conseguenze di ciò che sta già accadendo, il risultato di un esercizio planetario e prolungato di stupidità ben poco “sapiens”.

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