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Nella bottega delle matite

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Nella bottega delle matite

A Chinatown. Gli scaffali del negozio C.W. Pencil Entreprise
A Chinatown. Gli scaffali del negozio C.W. Pencil Entreprise

La signora con pashmina e voluminoso chignon sale-e-pepe è seduta su uno sgabello, nella parte di negozio interdetta ai clienti. China su un temperamatite a manovella grosso come un macinino da caffè, sta appuntando un lapis mentre la giovane commessa dai tratti asiatici le sta spiegando che «rispetto a quello di prima, questo fa la punta più lunga».

La signora sta facendo acquisti per un’amica di Amsterdam, che incontrerà a giorni a Gerusalemme. L’amica è già in contatto con C.W. Pencil Enterprise – Purveyors Of Superior Graphite, probabilmente l’unico negozio al mondo che vende solo matite (e poca paraphernalia collegata al loro uso); ma il temperino con le caratteristiche che vuole lei non è in vendita nella sezione online dello shop, per cui dopo un carteggio con la proprietaria Caroline Weaver ha mandato la sua fiduciaria di New York a scegliere di persona il prodotto giusto per le sue esigenze.

Una cernita difficile a quanto pare, perché le due amiche si stanno scambiando opinioni via iPad mentre la commessa mostra altre matite appuntate con altri temperini.

Siamo a Chinatown, in un piccolo locale di una stanza, con la vetrina affacciata su un parco non esattamente immacolato. I muri con mattoni a vista sono pitturati di bianco, e gli scaffali che li percorrono sono disseminati di bicchieri colmi di lapis, con etichette che ne dichiarano la marca, il tipo di mina e il prezzo. È un mondo ovattato e chic come un film di Woody Allen, la cui frequentatrice più assidua e celebre (almeno per questo tipo di clientela) è Mary Norris, la temutissima correttrice di bozze del NewYorker.

Ma non è un mondo creato da un luddista in tweed e pipa, come verrebbe da pensare: la fondatrice è una ragazza di 25 anni che porta ballerine e ciglia finte, e che in un anno e mezzo è riuscita ad avviare un giro d’affari tale da dover assumere altre cinque persone. «Ho sempre scritto con le matite invece che con le penne – le ho sempre usate e sempre collezionate» dice la Weaver e, indicando un distributore automatico che ricorda quelli delle caramelle della nostra infanzia, aggiunge: «Ne avevamo uno identico al liceo, 50 centesimi a lapis. Lo ricarico con la collezione di una signora del Colorado da cui ho comprato 10mila matite. Non ce ne sono due uguali!».

Due trentenni entrano nel negozio a curiosare, e non appena vedono il distributore ci infilano tutte le monetine che si ritrovano in tasca squittendo di gioia. «O mio Dio!! Proprio come a scuola!» trilla lei, mentre lui legge ad alta voce le scritte sulle matite che gli sono toccate in sorte: un’agenzia assicurativa di Boulder, un benzinaio del Nevada, un negozio di mobili dell’Oregon.Se ne vanno avendo speso solo un dollaro e mezzo, ma fieri di tornare a casa dopo aver scovato degli incredibili oggetti di nicchia - tanto quanto l’avventore successivo che striscia la sua carta di credito per 250 dollari.

I clienti sono di tutte le età, equamente distribuiti tra i due sessi, per il 50% americani, e per il restante 50 internazionali. Il negozio è già una destinazione turistica per gli appassionati e i curiosi, ma conta anche su uno zoccolo duro di affezionati del quartiere che ogni giorno passano a fare scorta di cancelleria – dai bambini delle elementari ai grafici pubblicitari.

Sono 200 i tipi diversi di matite tra cui possono scegliere per scrivere o disegnare (ma non colorare): «Cerco prodotti particolari, realizzati totalmente in un’unica fabbrica. Negli Stati Uniti ce ne sono rimaste soltanto tre che lavorano così, e allora guardo al resto del mondo. Questa ad esempio è unaGoldfish Autocrat al Pakistan: il nipote del suo creatore pensa che suo nonno volesse chiamarla “aristocrat”, ma che si sia sbagliato. Questa è la Viking che in Danimarca viene usata per votare: il buco in cima serve a far passare lo spago per legarle al seggio».

Ci sono poi le matite usate per test scolastici e medici, che vengono lette dagli scanner; le copying pencil da segreteria, indelebili; quelle blu inintelligibili dalla macchina fotocopiatrice (utili per le note); quelle evidenziatrici, quelle per fumetti, quelle per sudoku (punta finissima e cancellino sull’altro capo, da appuntare come se fosse una mina, per le più piccole correzioni).

Tra le preferite della Weaver c’è la Blackwing 602 di Eberhard Faber, con cui Steinbeck ha scritto tutti i suoi romanzi e Disney ha creato alcuni dei suoi immortali personaggi. Un’icona che costa 2 dollari, ma che in una teca porta anche un cartellino da 75. Chiedo cosa abbia di speciale rispetto a quella che ho in mano: sembrano identiche. «È un’originale degli anni ’50. Un pezzo raro, perché le matite sono degli oggetti di uso quotidiano e chi le compra le consuma. Giustamente, vorrei aggiungere: esorto sempre i clienti ad usarle invece che venerarle. Sono fatte per quello!».

Ha spesso a che fare con gente ossessionata? «Quando fai un lavoro così specializzato ti arrivano email di ogni tipo; molte, ad esempio, da persone che fanno sculture usando le matite. Arriva anche molta posta di gente che ama scrivere su carta e che ha semplicemente voglia di comunicare con qualcuno che ha il suo stesso mind set. Rispondo sempre a tutti, naturalmente per posta tradizionale e scrivendo a matita. Ma con un accorgimento: prima di imbustare la mia lettera, la spruzzo con della lacca per renderla indelebile. Un trucco che ho imparato da bambina e che rende superflue le penne».

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