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Nina Hard in bella posa per Kirchner

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Nina Hard in bella posa per Kirchner

Artista & fotografo. Ernst Kirchner, «Nina Hard», 1921
Artista & fotografo. Ernst Kirchner, «Nina Hard», 1921

L’amava moltissimo perché aveva liberato l’arte dall’obbligo servile di copiare la natura e perché bastava guardare attraverso l’obiettivo della macchina fotografica per sentire la presenza del mondo. Ernst Ludwig Kirchner, anima febbrile dell’espressionismo tedesco, aveva stretto un rapporto simbiotico con la fotografia e dal 1908 al 1938 aveva realizzato più di milletrecento immagini, tra lastre e negativi in pellicola, raccolte dall’artista in cinque volumi, oggi patrimonio del Kirchner Museum di Davos, in Svizzera. Nel programma di digitalizzazione dell’intero archivio, ora completato, rientra anche l’uscita di Ernst Ludwig Kirchner. The Artist as Photographer, un bel volume a cura di Thorsten Sadowsky, direttore del museo, che ripercorre la vita del pittore nei suoi frequenti e illuminanti autoritratti, e nelle meticolose riproduzioni di quadri e sculture tra il disordine bohème dello studio e l’eleganza compostissima delle gallerie e dei musei. E sono molti, per esempio il Fritz Gurlitt Kunstsalone di Berlino che nell’aprile del 1912 accoglie i maestri del Die Bruecke – tra gli scatti appare anche Erich Heckel – o la Kunsthalle di Basilea, il Kunstmuseum di Winterthur e la Kunsthalle di Berna che dedicano al Maestro una serie di straordinarie mostre personali, dal 1923 al 1933.

Accanto alle immagini che promuovono il suo lavoro – in una nota l’artista ammette di preferire «la carta lucida, perché la fotografia deve essere luminosa e dettagliata» – Kirchner ritrae tutto ciò che alimenta la sua immaginazione, naturalmente se stesso, in divisa da soldato o dandy perfetto, quindi i suoi amici, Alfred Doeblin – e si scuserà con lo scrittore per il ritratto “mosso” – Oskar Schlemmer, Gustav Schiefler, Henry van de Velde, e Fréderic Bauer, medico del Park Sanatorium di Davos dove il pittore sarà ricoverato, e infine i suoi innumerevoli amori. Prima fra le donne amate è Erna Schilling, modella, compagna di una vita, figura critica di riferimento, che Kirchner fotografa per ventisei anni, dall’incontro nel 1912 al 1935. Scorrendo le immagini e osservando in parallelo le espressioni del volto di Erna si intuiscono la felicità della vita berlinese – le foto dei due nello studio di Wilmersdorf Strasse valgono un romanzo - l’acuirsi della malattia di lui, gli esaurimenti nervosi, il ricovero in sanatorio – a Davos negli stessi ambienti che ispireranno Thomas Mann – e ancora il ritorno dell’energia, la scoperta del mondo fiabesco delle Alpi svizzere e la nuova stagione artistica nell’intimità della Haus in den Lärchen, la baita di Frauenkirch. Ma per un attimo sul volto di Erna appare un bagliore di gelosia.

Nel 1921 giunge alla porta di casa Nina Hard, ventenne, tedesca nata in Brasile, e una volta a Berlino interprete della Ausdruckstanz, la nuova danza libera ed espressiva. Kirchner è folgorato da quell’incontro di esotismo ed erotismo, tutto occidentale. Nonostante le proteste di Erna, la ragazza trascorre l’estate insieme a loro, e danza, danza, danza ovunque, nuda sul prato e tra i quadri dell’atelier, e vestita di un leggerissimo gonnellino di fili d’erba posa di fronte all’ingresso della baita, sorvegliato da due enormi sculture di legno, Adamo ed Eva. Per non lasciare dubbi sui suoi sentimenti Nina appoggia un braccio sulla spalla di Adamo. Ernst scatta ed è una delle immagini più belle e potenti dell’intera raccolta. Due anni dopo, nel 1923, Eva/Erna poserà sola sulla soglia della Wildbodenhaus, l’ultimo domicilio della coppia (oggi piccolo museo aperto al pubblico).

Partono da qui le opere che verranno esposte al Kunstmuseum di Winterthur. E nella notte tra il 14 e 15 giugno 1938 parte da qui una telefonata di Erna, la più drammatica della sua vita. I nazisti hanno confiscato più di seicento opere di Kirchner dai musei tedeschi esponendole in parte nella mostra dell’Arte degenerata, e ora quegli stessi nazisti, che hanno appena invaso l’Austria, sono a soli quindici chilometri di distanza dalla Svizzera. In preda alla disperazione Ernst distrugge le statue che hanno protetto fino allora la casa. La depressione, l’insonnia, gli incubi di vedere comparire i soldati di Hitler lo divorano al punto da chiedere alla compagna di uccidersi insieme a lui. Erna chiama il medico, ma quando è ancora al telefono, Kirchner si spara davanti alla baita dei Ruesch. Qualche anno prima l’artista aveva ritratto le donne di questa famiglia, Margareth, Dorothe, Elsbeth e Barbara, la più giovane, l’unica vestita di bianco. La legna era ben accatastata in attesa dell’inverno e la vallata si stendeva in lontananza in una tutta la sua maestosa serenità. Aveva ragione Kirchner quando diceva che per credere a tanta felicità non bastava dipingere. Bisognava fotografare.

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