Cultura

Oro al Brasile

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non è mai troppo tardi

Oro al Brasile

La cerimonia d’apertura dei giochi olimpici è sempre un’emozione. Sarà la lunga attesa (4 anni), sarà la lunga durata (4 ore), quel che è certo è che il pubblico non vede l’ora di assistere alle grandiose trovate scenografiche del Paese ospitante, il Brasile, in questo caso, Rio de Janeiro e il suo trepidante Maracanã pronto a riempirsi di colori saettanti e di fuochi d’artificio, sotto l’immagine che è già diventata l’icona di queste Olimpiadi 2016: il simbolo della pace all’interno del quale germoglia un albero.

L’attenzione all’ambiente ha infatti caratterizzato l’intera cerimonia, pennellando l’abituale clima festoso con una tonalità più seria e a tratti cupa: a tutti gli atleti presenti (circa undicimila) viene consegnato un seme che essi devono piantare (secondo una strana ritualità che sembra fargli timbrare un originale cartellino più che salvare il pianeta dalla deforestazione), e nel corso della serata, accanto alle note flautate delle musiche tradizonali, accanto alle tipiche dolcezze brasileire, accanto alla molle seduzione (persino l’inno brasiliano suona come una ballata romantica), accanto alle prestazioni di Gilberto Gil e Caetano Veloso, vengono proiettati a mo’ di annuncio catastrofista i dati circa l’emissione di CO2, il riscaldamento globale, lo scioglimento dei ghiacci, l’innalzamento del livello del mare, con grafiche che mostrano lo stato attuale e le future degenerazioni...

È certo una scelta precisa, potente - sfruttare l’attenzione di un appuntamento tanto seguito per sottolineare un messaggio spesso dimenticato-, che va a braccetto con la volontà di limitare la pompa magna - un budget complessivo per l’allestimento ridotto di circa dodici volte rispetto a Londra 2012 - in favore di uno stile più artigianale.

Così eccoci nel bel mezzo di un brodo primordiale, abitato da ancestrali insettoni, manovrati, chela per chela, da tanti individui, tipo draghi cinesi (però non sono draghi né tantomeno cinesi), che poi si trasformano in alberi, uccelli, indios dell’amazzonia, navi, schiavi, capanne, grattacieli, favelas.

Dopo la sfilata degli atleti divisi per Paese, arriva l’agognato finale: il tedoforo dell’ultimo minuto (doveva essere Pelè ma è stato sostituito dal maratoneta Vanderlei de Lima, famoso per essere stato travolto da un folle a pochi passi dalla vittoria nelle Olimpiadi di Atene 2004) porta a termine il suo compito, e la fiamma, sobria, piccina, che disegna ombre e ricami invece di ardere solenne e gradassa, può cominciare la sua corsa.

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