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Sorella d’arte cercasi

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Sorella d’arte cercasi

È probabile che la maggior parte dei ragazzi che quest’anno alla maturità hanno trovato una frase di Anna Banti nella traccia di uno dei temi d’italiano non sapessero nulla di questa scrittrice. Ma non si tratta (solo) di ignoranza giovanile: anche negli anni di riscoperta dei testi femminili del passato Lucia Lopresti (questo il suo vero nome) è rimasta piuttosto nell’ombra. Mario Martone si è ispirato a uno dei suoi racconti più celebri per il film Noi credevamo, e sempre si cita tra le sue opere il testo dedicato ad Artemisia Gentileschi. Ma di lei, del suo lungo lavoro di scrittrice e intellettuale, moglie interlocutrice di una figura di assoluto rilievo nella cultura italiana come lo storico dell’arte Roberto Longhi, non molto altro è entrato nella circolazione letteraria contemporanea, né il femminismo l’ha iscritta nel pantheon delle “madri storiche”. Ora, tre anni dopo il Meridiano curato da Fausta Garavini, un numero della rivista monografica diretta da Antonio Motta Il Giannone, intitolato Da un paese lontano, ricostruisce la sua figura e il suo lavoro, proponendo alcuni testi e documenti poco noti, una serie di nuovi saggi critici e un’antologia di recensioni d’epoca (curata da Laura Desideri), con grandi firme come Emilio Cecchi, Pasolini, Bassani, Citati.

Quando nasce Artemisia, nel 1947, «sulle scene italiane la prosa d’arte teneva ancora validamente le parti di primattrice», commenta Cesare Garboli in un articolo per la ripubblicazione dell’opera vent’anni dopo. E scrivere romanzi, continua, «era considerato di cattivo gusto». Merito di Banti, per il critico, essersi avventurata in un «tu per tu» diretto col mondo. Ma rivisitandola oggi, forse più interessante è, come Garboli anche sottolinea, la sua ricerca di «una sorella d’arte». Certo, conta per Artemisia la giovanile formazione di storica dell’arte, ricostruita in uno dei saggi del volume da Margherita Ghilardi, ma l’autobiografia femminile per interposta persona, che tanto successo ha avuto proprio negli anni della vecchiaia di Anna Banti (scomparsa nel 1985), è presente in altre importanti testi su «donne sole» (titolo di una recensione di Emilio Cecchi del ’52), per esempio in uno dei più felici: Lavinia fuggita. Nel ’73 Pasolini parla del «femminismo che ha caratterizzato tutti i suoi libri» come di una forma elegante e discreta di narcisismo. Ma ora vediamo questo calarsi in altri panni femminili diversamente, come un frammento importante, cioè, di quella letteraria indagine sulle donne esplosa nel Novecento. Narcisistica semmai parzialmente era la sua scrittura , ancora contagiata da quella “primattrice” prosa d’arte da cui voleva allontanarsi.

Nel volume molto ben curato da Beatrice Manetti è sottolineato poi un altro tratto rilevante della sua fisionomia: il costante impegno culturale, non così scontato per uno scrittore donna del suo tempo. E non solo per quello che riguarda la fondazione, con il marito, e la cura della rivista «Paragone», ma anche per il lavoro sui libri degli altri e delle altre, come una piccola ma molto significativa scelta di lettere ad alcune scrittrici testimonia.

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