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Bacon, il ritorno in Costa Azzurra

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Arte

Bacon, il ritorno in Costa Azzurra

Francis Bacon. «Ritratto d'uomo che  scende le scale», 1972, collezione privata
Francis Bacon. «Ritratto d'uomo che scende le scale», 1972, collezione privata

Il Grimaldi Forum di Montecarlo ci ha abituati a mostre di qualità. Salvo imprevisti e disdette last minute – è successo con Jeff Koons per un appuntamento a cui teneva molto il principe Alberto – ha una programmazione che calendarizza eventi con il giusto anticipo, ogni estate, di volta in volta coinvolgendo gli specialisti della materia. Inoltre, il tema è scelto quasi sempre per la sua relazione storica con Monaco e con il Midì.

Da circa tre anni Martin Harrison, curatore del recentissimo catalogo ragionato di Francis Bacon, più volumi in un cofanetto nero venduto al prezzo 1.000 sterline, lavora alla mostra Francis Bacon, Monaco e la cultura francese, aperta fino al 4 settembre nel palazzo di vetro sull’elegante Avenue Princesse Grace di Monaco. La location non è casuale: l’artista, nato a Dublino nel 1909 e morto a Madrid nel 1992, oltre a Londra, ha vissuto molto a Parigi, dalla fine degli anni Venti, e a Monaco, dove ha la residenza dal ’46 ai primi anni Cinquanta. Ha sede qui la «Francis Bacon MB Art Foundation» nata nel 2014, partner per la mostra con la fondazione londinese del pittore.

Le oltre sessanta opere dell’artista sfilano in una sequenza entusiasmante, anche grazie all’efficacia di un allestimento semplice e teatrale al tempo stesso. La sede non teme, anzi esalta il forte impatto dimensionale delle grandi tele, che, da vicino, emanano tutta la forza di un singolare espressionismo materico, l’alternarsi di lunghe pennellate energiche a grumi di colore.

«Sto lavorando su 3 bozzetti del ritratto di Velásquez del Papa l’Innocente II (sic)», scrive il 19 ottobre ’46 a Graham Sutherland dall’Hotel Rè a Monaco, opera prima di una serie celeberrima che dura venticinque anni. «Una vera ossessione», scriverà nel ‘62, «mi assilla e apre in me ogni sorta di sensazione». Molti dei dipinti monegaschi, compreso lo straordinario studio di testa esposto, uno dei tre bozzetti della missiva, sono realizzati sulla tela grezza priva di imprimitura. Spesso Bacon riutilizza il supporto dipingendo sul verso. Pratiche che diverranno per lui usuali, nate lì, quando era al verde: si era giocato tutto al Casinò. La casualità, quel fattore che ti fa vincere oppure perdere, diventa concettualmente, diciamo pure filosoficamente centrale nella pittura di Bacon, al di là dell'aneddotica, formando una visione del fare artistico che ripudia ogni regola e rigore. Così si devono leggere le sue figure e le sue composizioni. O meglio ci si deve far travolgere nel vortice tormentato di sagome distorte, forme che si avvitano perse in uno spazio che nega la propria essenza di luogo. Magistrale il trittico rosa Studi dal corpo umano del ‘70, dove Bacon rilegge Picasso, il Torso del Belvedere e Caravaggio, presentato su una scalinata che ne enfatizza la monumentalità e che allude all’ingresso del Grand Palais, dove la retrospettiva del ’71 consacrò l’artista a livello internazionale.

In modo misurato la mostra propone confronti con le personalità che lo hanno influenzato e a cui lui stesso si è esplicitamente dichiarato debitore. C’è Rodin, il cui grande bronzo con la Musa Whistler dedicata al pittore americano innesca un’efficace triangolazione di rimandi formali con la Figura in movimento del ’72 e con lo Studio per un ritratto del ’77, entrambe della collezione Magnus Konow. C’è l’amico Giacometti, la cui scarnificazione ha come matrice una sofferenza esistenziale simile a quella dei tanti volti di Bacon (una sala ne raccoglie una serrata sequenza). C’è Van Gogh, di cui dirà: «è uno dei miei grandi eroi». E poi Toulouse-Lautrec, Soutine e Léger. Le evidenti radici cubiste degli esordi sono uno degli spunti per l’edizione spagnola della retrospettiva che, con qualche variante e il sottotitolo «da Picasso a Velázquez», sarà al Guggenheim di Bilbao dal 30 settembre all’8 gennaio 2017.

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