Cultura

Com’è fragile la «terra dei sorrisi»

  • Abbonati
  • Accedi
Storia

Com’è fragile la «terra dei sorrisi»

Alcune thailandesi con dei ritratti del sovrano, radunate fuori dell’ospedale in cui il re Bhuminol Adulyadej è ricoverato il giorno dell’88esimo compleanno, il 5 dicembre scorso
Alcune thailandesi con dei ritratti del sovrano, radunate fuori dell’ospedale in cui il re Bhuminol Adulyadej è ricoverato il giorno dell’88esimo compleanno, il 5 dicembre scorso

Da dove cominciare per parlare della Thailandia? Uno strano inizio può essere un monastero buddhista in Nuova Zelanda, nella foresta di Theravada. La comunità Thai che si raccoglie in questo luogo di culto ha molto in comune col resto del mondo: appartiene alla nostra stessa specie – Homo sapiens sapiens – e sia Gesù che Buddha sono d’accordo sul fatto che «il regno di Dio è in voi» (quel versetto di Luca – 17,21 che ha ispirato l’eponimo libro di Tolstoj).

I thailandesi che si raccolgono per questi rituali – ai quali ho partecipato per tre giorni – vengono da tutti i cammini della vita. È difficile distinguere fra praticanti e non praticanti, perché il buddhismo – una filosofia più che una religione – permea la vita thailandese in un modo che è difficile da capire per chi è abituato agli antagonismi fra clericalismo e anticlericalismo. L’autista e l’ambasciatore (c’erano tutti e due) congiungono le mani ascoltando il salmodiare dei monaci, una classe che non ha mai gestito un potere temporale e che ha mantenuto il rispetto della comunità. E accanto alle immagini di Buddha ci sono quelle – altrettanto onnipresenti – del re. Ecco un altro collante. La Thailandia ha norme di lesa maestà esageratamente severe, ma dietro a quelle ispide leggi c’è una genuina e popolare venerazione per l’istituzione della monarchia.

Religione e regalità: due collanti della vita thailandese che lubrificano la convivenza con potenti proiezioni identitarie. Un lubrificante – anzi, due lubrificanti – dei quali c’è un gran bisogno, perché la Thailandia è permeata da altrettanto possenti motivi di divisione. Siamo abituati a dividere il mondo fra Paesi a economia di mercato e Paesi a economia di comando (ormai ben pochi). I primi sono democratici, i secondi no. Ma la storia ci ha gettato in faccia anche “Paesi ibridi”, come la Cina, un “terzo modello” dove l’autocrazia e il partito unico coesistono con una economia che non ha ancora passato completamente il guado verso il mercato, e dove coesistono imprese private e imprese di Stato. La Thailandia è ancora un altro modello: una dittatura militare e un Paese a economia di mercato.

Non è sempre stato così. La Thailandia è un Paese complesso, che si vanta, a differenza degli altri Paesi del Sud-Est asiatico, di non essere mai stato colonizzato. Ma è anche un Paese che sfida quel detto di Churchill secondo cui «la democrazia è il peggiore di tutti i sistemi, fatta eccezione per tutti gli altri». Questa sfida proviene da una grossa divaricazione nella società thailandese. C’è una massa povera e poco istruita da una parte, e una classe media urbana dall’altra. E lungo tutta la nazione corre il filo onnipresente della corruzione. Da quando, prima della guerra (nel 1932), la monarchia è diventata costituzionale, la Thailandia ha sperimentato molti governi eletti e molti colpi di Stato militari. Il dualismo della società thailandese fa sì che le masse siano facilmente preda di demagoghi, specie del tipo “berlusconiano”: Thaksin Shinawatra, il “Berlusconi thailandese”, è stato eletto con promesse di supporto agli agricoltori e di accesso universale alla sanità. Le motivazioni dei votanti erano simili a quelle che spiegavano il successo di Berlusconi: Thaksin è un uomo di successo, si è arricchito, e quindi sa come arricchire il Paese.

Ma in fondo, voleva assicurarsi, dalla sua posizione di potere, che i suoi vasti interessi nella telefonia e in altri settori sarebbero stati protetti. I suoi sostenitori – le “camicie rosse” – lo difendevano a spada tratta, contro gli avversari – le “camicie gialle” – che volevano una lotta molto più energica al male endemico della corruzione. Una rivolta popolare delle camicie gialle costrinse Thaksin alle dimissioni e all’esilio (fu accusato di corruzione), ma alle successive elezioni, pur se costretto nel suo rifugio di Dubai, il suo partito, con a capo la sorella di Thaksin (Yingluk), vinse ancora. La nuova amministrazione non durò molto. Da una parte, il suo governo introdusse uno schema di supporto ai redditi degli agricoltori, con un prezzo garantito per il loro riso: una politica che è risultata estremamente costosa per le casse pubbliche. Dall’altra,Yingluk ha voluto strafare, e il governo ha cercato di far passare un’amnistia che avrebbe permesso a Thaksin di tornare. Così, ripresero gli scontri “in camicia” fra le gialle e le rosse; scontri che, oltre a causare vittime, finivano per paralizzare l’azione di governo. Fino a che i militari, stufi dello stallo, non ripresero il potere, e da due anni (dall’agosto 2014) lo esercitano in splendida solitudine.

La ratio di questa vicenda, secondo i generali e i loro sostenitori, sta nel fatto che la democrazia non va bene per la Thailandia, dato che ci sono troppi demagoghi ansiosi di prendere il potere e troppe masse illetterate sensibili alle sirene delle promesse. I generali promettono elezioni per l’anno prossimo, ma intanto hanno cambiato la Costituzione con un referendum dal successo discutibile (chi era contro non poteva manifestare): così, è stato aumentato il numero di parlamentari non eletti e ai generali è in pratica assicurato un potere di veto.

Quando Churchill disse che la democrazia è il sistema peggiore, fatta eccezione per tutti gli altri, quali “tutti gli altri” aveva in mente? Churchill parlava da statista e da storico, e si riferiva agli innumerevoli tentativi, nella storia dell’umanità, di forgiare un sistema di governo diverso da quello basato sul principio democratico di “una persona, un voto”; e dichiarava implicitamente di non aver trovato nessun sistema “meno cattivo” della democrazia. Ma, logicamente, questo non vuol dire che tale sistema alternativo non possa esistere e funzionare. Funzionerà il sistema dei generali thailandesi? Certamente, negli ultimi due anni vi è stata una lotta alla corruzione dal vigore paragonabile alla analoga “caccia ai corrotti” in Cina. Ma la legittimazione di un governo ha bisogno anche di altro. E nel frattempo quanti sono contro i generali non hanno altra scelta se non dirlo con le bombe...

La repressione delle libertà civili non può durare a lungo, e a lungo andare la battuta di Churchill manterrà la sua validità. Per adesso, la Thailandia vive appesa alla salute del re, Bhumibol Adulyadej: è al trono da 70 anni, ed è quindi il monarca più longevo del mondo. La sua popolarità è immensa, ma quella del suo erede, il principe Maha Vajiralongkorn, lo è molto meno. Il re va per gli 89, è malato da tempo, e i generali vogliono essere là al momento della successione, che rappresenterà per il Paese un passaggio delicato. Il ruolo della monarchia come “lubrificante”, menzionato all’inizio, rischia di essere intaccato dall’incoronazione di un nuovo, e non amato, re.

Nel frattempo, la Thailandia presenta il suo volto abituale. La “terra dei sorrisi”, volta a volta lussureggiante, tropicale, moderna e arretrata al tempo stesso, grande cucina, massaggi a prezzi di saldo, e con un tasso di disoccupazione incredibilmente basso, sotto l’1%; con una rete di sicurezza sociale piena di buchi: chi voglia sopravvivere deve lavorare per forza, anche se porta a casa pochi soldi. Andate pure in Thailandia e godetevi la vacanza; ma, a chi ama le “vacanze intelligenti” consiglio di tenere aperti gli occhi e la mente: quel Paese è un affascinante laboratorio sociale e gli esperimenti in corso potranno far scintille...

© Riproduzione riservata