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Domenicani da antologia letteraria

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Religione

Domenicani da antologia letteraria

Non è mai stata scritta, almeno in tempi recenti, una storia della letteratura italiana che ponesse in evidenza il contributo dato nel corso dei secoli dagli ordini religiosi. I Francescani, i Gesuiti o i Domenicani, per esempio, pur non intendendo cambiare le sorti di poesia e prosa, hanno comunque lasciato profonda traccia. Non è possibile ignorare l’opera di Jacopone da Todi o quanto ha fatto per la storia del genere Girolamo Tiraboschi; né tacere che Matteo Bandello, novelliere letto e meditato da Shakespeare e da Lope de Vega, sia stato un domenicano. Codeste appartenenze si sono perdute nei manuali e sovente non hanno trovato un loro spazio nelle ricerche, ma quest’anno proprio i Domenicani celebrano il loro nono centenario e non sono mancate occasioni, almeno per tale ordine.

Certo, il ricordato Bandello (che tanto piaceva a Carmelo Bene) andrebbe posto accanto a Jacopo Passavanti che, oltre ad essere stato un architetto degno di menzione, ha lasciato alla letteratura lo Specchio della vera penitenza, opera piena di spiritualità che in una sua parte, facendo a gara col Decameron di Boccaccio, rappresentò il purgatorio sulla terra. Siamo nel XIV secolo. È anche l’epoca di Domenico Cavalca, autore di numerosi scritti, il quale senza provare eccessi maschilistici e ossequiando semplicemente lo spirito del tempo, trovò spazio e ispirazione per dedicarsi all’educazione morale delle donne. E tutto questo va registrato ricordando altresì i rapporti tra Dante, Petrarca e, appunto, i Domenicani.

Per dirla in breve: i figli di San Domenico si fecero onore tra i grandi autori italiani e la prova, per così dire, giunge ora con un libro, curato da Paola Baioni e introdotto da Carlo Delcorno, dal significativo titolo I Domenicani e la letteratura. In esso si trovano, oltre a saggi dedicati agli autori ricordati, anche dei contributi trasversali, come quello di Stefano Cremonini che indaga sui volgarizzamenti realizzati nell’ambito di questo ordine religioso fra Tre e Quattrocento o quello di Gianni Festa che ha come titolo Tra Arcadia e devozione domenicana: il Rosario di Maria Vergine di Francesco De Lemene (1634-1704). Proprio De Lemene rappresenta una vera sorpresa: librettista dotato anche di scrittura sensuale, frequentatore a Roma del circolo di Cristina di Svezia, rinunciò al matrimonio per ragioni di quieto vivere e lasciò anche non poche poesie religiose. Muratori, tra l’altro, riteneva lui e Carlo Maria Maggi la coppia che seppe restituire dignità e vigore agli italici versi, sovente affollati di «petrarchisti smunti e asciutti». Gianni Festa, dopo aver notato, che è «ancora poco studiato il versante della poesia religiosa dove il De Lemene si presenta come poeta speculativo, traspositore in versi della parte dogmatica della Summa Theologiae di San Tommaso e appunto come poeta devozionale».

C’è ancora molto da dire del volume, magari riprendendo il discorso dal saggio di Rita Librandi sul sistema di metafore tra spiritualità e realtà nelle lettere di Caterina da Siena, ma le questioni ci porterebbero lontano. Non mancherà un’altra occasione.

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