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Elisabetta emblema del Rinascimento

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Storia

Elisabetta emblema del Rinascimento

Regina. Elisabetta I d'Inghilterra (1533 - 1603)
Regina. Elisabetta I d'Inghilterra (1533 - 1603)

Tra i fondatori del celebre Bloomsbury Group che raccolse personalità destinate a diventare famose in tutti i campi – da John Maynard Keynes a Edward Morgan Forster, da Leonard e Virginia Woolf a Clive Bell e via dicendo – il grande scrittore e critico inglese Giles Lytton Strachey è stato, forse involontariamente, l’inventore di un nuovo genere letterario, quello della biografia rigorosa e precisa ma attenta all’aneddotica e sottilmente demistificatoria. I saggi di Lytton Strachey non sono, come è stato detto, «biografie romanzate» o «romanzi biografici», quasi una nuova forma di espressione artistica che risentiva dell’influenza, per l’attenzione riservata allo studio della psicologia dei protagonisti, di un Dostoevskij e di un Freud. Si tratta, piuttosto di lavori, coinvolgenti come romanzi, che hanno la capacità di ricreare un mondo e un’epoca attraverso «alcuni frammenti di verità». L’interesse biografico si coniugava, nello scrittore inglese, con l’interesse storico: «Le creature umane sono una realtà troppo importante per essere trattate solo come sintomi del passato. Hanno un valore indipendente da qualsiasi processo temporale; un valore eterno che deve essere sentito ed espresso in sé e per sé».

In opere giustamente divenute celebri, come Eminenti Vittoriani (1918) o La Regina Vittoria (1921), egli ha ricostruito le vicende umane di alcune delle personalità più significative dell’epoca vittoriana, più che con spirito ironico, con una sottilissima arguzia, un pizzico di irriverenza e una approfondita analisi psicologica: il tutto senza celare le tante ipocrisie caratteristiche di quell’epoca. Eppure, quest’uomo che era nato proprio nell’ultimo scorcio dell’età vittoriana e ne aveva conosciuto le contraddizioni e contestato lo spirito moralistico facendone il terreno privilegiato dei suoi esercizi biografici, non si limitò a interessarsi di quel periodo storico, ma volle andare, più indietro nel tempo, all’epoca elisabettiana.

Il volume su Elisabetta e il conte di Essex, apparso nel 1928, pochi anni prima della sua morte avvenuta nel 1932, ora ripubblicato in italiano in una bella traduzione di Maria Teresa Calboli, è un’opera di grande spessore storiografico e interpretativo cui non fanno velo – ma conferiscono, anzi, pregio – l’eleganza e la levità della scrittura, il tono sottilmente ironico, l’ampia utilizzazione dell’aneddotica, l’analisi psicologica dei protagonisti. Dietro questo bellissimo lavoro, come del resto dietro tutti gli scritti di Strachey, c’era una ben precisa idea della storia e del rapporto fra storiografia e arte: «Quando sono raccolti senza arte, i fatti che si riferiscono al passato sono una cronaca. Ora le cronache sono senza dubbio utili, ma stanno alla storia come il burro, le uova, il sale e le erbe aromatiche stanno alla frittata».

La tragica vicenda di Robert Devereux, conte di Essex, subentrato al patrigno Leicester nel favori della ultracinquantenne Elisabetta e condannato al patibolo dopo essere caduta in disgrazia, offre a Lytton Strachey l’occasione per descrivere la fine del vecchio mondo cavalleresco e dell’antica nobiltà tradizionale. Il giovane aristocratico, di vent’anni più giovane della regina e, considerato uno dei più eleganti e brillanti protagonisti della corte inglese del tempo, fu decapitato nella Torre di Londra perché, accecato dalla sua ambizione, non si era reso conto che Elisabetta non era donna da sottomettere e dominare e, tanto meno, da sopportare congiure da operetta. Nelle pagine di Litton Strachey la figura della grande sovrana che aveva sconfitto l’Armada spagnola giganteggia: questa donna nella quale convivevano elementi virili e femminei e che era capace di utilizzare le arti della dissimulazione e quelle della diplomazia, viene presentata non tanto come il campione della Riforma quanto piuttosto come l’emblema del Rinascimento: una creatura «barocca» nella «età del barocco». In quest’opera si ritrovano la stessa finezza di analisi e la stessa capacità di penetrare la psicologia del personaggio che avevano caratterizzato il più famoso libro di Lytton Strachey, la biografia della regina Vittoria. Non a caso di questo grande letterato, Giovanni Ansaldo ebbe a scrivere che per lui «i cuori delle regine d’Inghilterra» non avevano segreti.

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