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La bellezza dello straniero

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Danza

La bellezza dello straniero

Bauschiana. «Catania Catania» di Emilio Calcagno
Bauschiana. «Catania Catania» di Emilio Calcagno

Tanta euforia e qualche nota di tristezza. Così si era concluso “Tanz Bozen- Bolzano Danza”, altro festival storico, ove si parlano due lingue, e da quattro stagioni è il perspicace Emanuele Masi a condurre le redini della vetrina. L’euforia riguarda l’incremento di pubblico e abbonamenti: successo meritato per il progetto triennale sulle “identità”, elaborato da Masi e quest’anno avvolto entro “Beautiful Stranger”. Nel titolo, fascinoso, debutti destinati ad essere raccolti nella prossima stagione autunnale-invernale, dedicati soprattutto ad artisti “migranti” in Europa e a come hanno saputo reinventare le loro origini culturali e coreutiche nel non sempre morbido confronto con l’Occidente.

Proprio qui si è inserito, nelle ultime serate del ricco festival, il rammarico per Heddy Maalem, un coreografo algerino-francese deciso ad abbandonare danza e compagnia per trent’anni coltivate a Tolosa. Due miniature cum laude sono le sue ultime creazioni, prima di un futuro documentario autobiografico destinato a Batna, la città natale e “a tutti gli algerini”: l’assolo Nigra Sum, Pulcra es (Io sono nera, tu bella) con la bravissima e seducente Anne-Marie Van, e il duetto Toujours sur cette mer sauvage (celebre verso di Victor Hugo) destinato alla cinese ErGe Yu e a Romual Kabore del Burkina Faso. In entrambi i pezzi fa capolino il krumping: una forma di danza di strada, nata a Los Angeles da afro-americani una quindicina di anni or sono ed espressione di una feroce ribellione rattenuta.

Grazie a Mallem la venusiana Anne-Marie Van, ex campionessa di krumping, è diventata una danzatrice contemporanea; ha trasformato l’impeto guerriero in nettare di seduzione potentissima cui si soggiace, incantati, guardando non solo il suo corpo scultoreo in aderenti due pezzi dorati, ma anche, sopra la testa riccioluta, i mobilissimi occhi di gazzella e pantera. Nervosa, inquieta, ribollente di gesti e con scatti imprevedibili sul tappeto in cui si muove da sola, alterna picchi di soave accoglienza a categorici rifiuti, mitigati dentro e fuori di sé da quel Cantico dei Cantici, ispiratore della musica di Rodolphe Burger. Una meraviglia.

Meno incisivo, anche se danzato da altri due campioni, Toujours sur cette mer sauvage: qui le abilità della cinese e dell’africano emergono in una sorta di viaggio dapprima intinto nelle acque di un video e poi live, sul palco. E’ un rapporto fatto di contorsioni e contatti ravvicinatissimi, di singole prodezze (la cinese era super-danzatrice accademica) in cui la grazia di lei, quando si posa sul massiccio corpo muscoloso di lui, diventa una vibrante scultura in bianco e nero. Due assoli separano la coppia in solitarie nostalgie (lei) e in bruschi malesseri quasi violenti (lui). Inizia un bisticcio selvaggio, placato quando i due spariscono per rituffarsi nelle acque virtuali. Ma il ritorno sul palco è meno felice: lui cerca lei e lei, a sorpresa, si ritrae. Un pizzico di ridondanza, di effetti ripetuti rendono il duetto vagamente ampolloso, compiaciuto.

L’eccedenza è anche il difetto, o il pregio, di Catania Catania, attesa pièce di Emilio Calcagno, émigrée siciliano da 27 anni in Francia, prima come ballerino e poi come coreografo sovvenzionato. Alla sua Compagnia Eco “Bolzano-Danza” ha offerto il debutto di una pièce riecheggiante, nel titolo, il celebre Palermo Palermo di Pina Bausch. Artista qui istintivo, quasi sentimentale, Calcagno ci mostra sin dall’inizio gli acrobatici riti del caffè, dei catini portati in scena assieme al gelato. Ci introduce, senza ricorso a scenografie, bensì a sole luci abbassate come tubi dall’alto, una Sicilia fatta di matriarcato - donne urlanti, oppressive, vere dominae di uomini capaci di violenza sui seni nudi delle compagne (a ricordo di Sant’Agata, protettrice di Catania) e anche di una dolcezza sfociante, talvolta, in ambiguità sessuale. I riti della chiesa sono risolti con un panno rosso trascinato su quella terra battuta da tutti e dieci gli stupendi danzatori a piedi nudi, in costumi da spiaggia, anche fatti svanire per veloci nudi integrali.

Tra musiche assordanti, questa canicola catanese si percepisce, assieme alla mediterraneità di arance, pesci freschi, rifiuti, brutalità gratuita. File, processioni, raggruppamenti, corse collettive molto riuscite arginano una bulimia tenuta a bada per circa venti, riusciti, minuti. Poi, poco alla volta si deborda col rischio di ripetizioni e momenti non indovinati per l’esternazione di frasi in dialetto e di racconti autobiografici. Però quei manti dorati e barocchi del finale - in realtà coperte isotermiche usate per i fuggiaschi raccolti dal mare - non sono solo il ricordo di uno sfarzoso passato, bensì di generosità ed accoglienza.

Calcagno pennella della Sicilia e della sua città un’immagine energica, nera come la lava dell’Etna nei vizi endemici più forti delle virtù, ma anche piena di un coraggio che potrebbe trasformare rabbia, disordine, e arroccamenti nelle cattive abitudini in qualcosa di più alto, puro e integro: in un Pensiero Stupendo, in una solare, speranzosa bellezza. Della canzone di Patty Pravo ma non solo.

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