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Matematico «integrale»

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Scienza e Filosofia

Matematico «integrale»

Il medico ha consigliato il clima e il sole del nostro Paese. È la sola terapia che all’epoca si conosce e si attua per chi è malato di tubercolosi. Così, a distanza di pochi mesi dal ritorno a Gottinga dopo un lungo soggiorno in Italia, all’inizio dell’estate 1866 Bernhard Riemann riprende ancora la via del sud. È la terza volta nel giro di pochi anni, da quando gli è stata diagnosticata la malattia. Riemann è un grande matematico, senza dubbio il più profondo e geniale dell’epoca e tra i più grandi della storia. I suoi primi rapporti con il nostro Paese risalgono all’ottobre 1858, quando i matematici Betti e Brioschi accompagnati dal giovane Casorati giungono a Gottinga nel corso di un viaggio nelle capitali della scienza europea. La cittadina tedesca vive ancora nell’aura di Gauss, il princeps mathematicorum scomparso tre anni prima. Gauss ha diretto l’Osservatorio astronomico e dominato la scena matematica per oltre mezzo secolo. Riemann è stato suo allievo e, fin dal primo anno di studi nell’inverno 1846, ha seguito un suo corso sul metodo dei minimi quadrati. Ma, più che le lezioni, sono soprattutto gli scritti di Gauss a esercitare un’influenza decisiva e duratura sul giovane matematico. Come la memoria per il suo giubileo scientifico, dove Gauss ha insegnato che l’intero campo delle grandezze complesse è rappresentato geometricamente da un piano illimitato, in cui ogni punto si può considerare corrispondente a un numero complesso e viceversa.

Questa rappresentazione geometrica sta alla base della teoria delle funzioni di una variabile complessa, di cui Riemann pone i fondamenti nella «dissertazione inaugurale» con cui si laurea nel 1851. Con gli occhi di oggi si può dire che pochissimi articoli hanno esercitato un’influenza paragonabile sullo sviluppo della matematica. Insieme con l’idea geniale e visionaria di «superficie di Riemann», quella dissertazione contiene infatti il germe della moderna teoria delle funzioni analitiche, inaugura lo studio sistematico dell’analysis situs (come, con termine leibniziano, ancora per tutto l’Ottocento si chiama la moderna topologia algebrica) e rivoluziona la geometria algebrica. Ma la sua importanza non sfugge nemmeno agli occhi di Betti, che al suo ritorno in patria ne pubblica la traduzione italiana negli «Annali di matematica pura e applicata», la nuova rivista che egli «compila» insieme a Brioschi per far conoscere Oltralpe il «movimento scientifico italiano». La dissertazione apre il decennio più fecondo e produttivo di Riemann.

«Il mio lavoro principale – si legge in un suo appunto di quel periodo – riguarda una nuova concezione delle leggi naturali note» che, a partire dai dati sperimentali, consenta di fornire una spiegazione matematica unitaria delle reciproche interazioni di gravità, luce, magnetismo ed elettricità. «Vi sono stato condotto principalmente dallo studio delle opere di Newton e Eulero e, d’altra parte, di Herbart», confessa Riemann. Quali siano i principi della nuova concezione che ha cominciato a elaborare lo spiega in alcune pagine del marzo 1853 che, ispirandosi ai Principia di Newton, non esita a intitolare Nuovi principi matematici della filosofia naturale. Nel dicembre di quell’anno in una lettera al fratello annuncia di aver già consegnato lo scritto per l’abilitazione a libero docente, un lavoro che ha per argomento delicate questioni di analisi, in cui Riemann introduce il concetto di integrale che oggi porta il suo nome. «Insieme a quello dovevo proporre tre temi per la lezione di abilitazione». Due erano pronti, dice Riemann, e invece Gauss ha scelto il terzo e «così ora sono di nuovo un po’ alle strette, perché questo devo ancora prepararlo».

«Le ipotesi che stanno alla base della geometria» è il tema scelto da Gauss. Come richiede la circostanza, la lezione (pubblicata postuma) che Riemann tiene nel 1854 davanti alla Facoltà filosofica è quasi priva di formule. Guidato dai suoi Nuovi principi Riemann generalizza a spazi a più dimensioni i risultati ottenuti da Gauss per le superfici e anticipa idee che, come ha detto una volta Hermann Weyl, saranno pienamente comprese solo se illuminate dalla «magica luce della teoria della gravitazione» di Einstein.

Dal 1859 Riemann è professore e in quello stesso anno, come ringraziamento per la sua nomina a membro corrispondente, pubblica nei rendiconti dell’Accademia delle scienze di Berlino un breve articolo sulla distribuzione dei numeri primi destinato a far epoca. Partendo ancora una volta dai risultati di Gauss, Riemann osserva che la distribuzione dei numeri primi è intimamente correlata al comportamento di una certa funzione di variabile complessa, la cosiddetta funzione zeta. E congettura come «molto probabile» che gli zeri “interessanti” di quella funzione, cioè i punti non “banali” in cui si annulla, siano tutti allineati su una retta, la «retta critica» come oggi la chiamano i matematici. È questa l’ipotesi di Riemann.

«Sarebbe certo auspicabile averne una dimostrazione rigorosa, ma per il momento ne ho accantonato la ricerca dopo alcuni rapidi tentativi infruttuosi – ammette Riemann – poiché essa non sembra necessaria per lo scopo immediato della mia ricerca». Dal 1900, quando Hilbert la annovera come il più importante tra i 23 problemi per i matematici delle «generazioni future», è iniziata la caccia alla dimostrazione di quell’«ipotesi». Con moderni computer l’ipotesi è stata verificata per diversi miliardi di zeri “interessanti”. Ma la dimostrazione rigorosa è stata annoverata dal Clay Institute tra le sfide matematiche del nuovo millennio, degne di un premio da un milione di dollari.

Il breve decennio di attività di Riemann si conclude con una memoria (in latino! E anch’essa pubblicata postuma) sullo stato termico di un corpo solido omogeneo, con cui Riemann partecipa senza successo a un premio bandito dall’Accademia delle scienze di Parigi. È in quella breve memoria che Riemann introduce il tensore di curvatura che porta il suo nome. Ormai le sue precarie condizioni di salute sono peggiorate al punto da costringerlo a lasciare Gottinga per l’Italia. In un lungo soggiorno a Pisa ha appreso a parlare e scrivere in italiano. Betti gli offre una cattedra alla Normale che è costretto a rifiutare perché, egli scrive, «riuscirei a parlare ad alta voce solo con grande sofferenza». Quando Riemann lascia per la terza volta Gottinga non ha ancora compiuto quarant’anni. Ma stavolta riesce solo a superare le Alpi, per spegnersi il 20 luglio a Selasca sulle sponde del lago Maggiore. L’unica traccia delle sue spoglie è la lapide della sua tomba sul muro del cimitero di Biganzolo.

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