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Qui il gioco si fa serio

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Libri

Qui il gioco si fa serio

  • –Domenico Scarpa

Per parlare dell’ultimo libro di Stefano Bartezzaghi la mossa d’apertura è obbligatoria: mettere da parte l’argomento che la sua confezione (copertina, controcopertina, risvolti) dichiara in più punti: il gioco. L’insolita lunghezza del sottotitolo – «Dal dado ai social network: a che gioco stiamo giocando?» – pare voler suggerire che il vero tema di La ludoteca di Babele sia un altro. Benché questo pensiero trovi una prima conferma già a pagina 13 – «Siamo qui per giocare, non per divertirci» –, la citazione che mette sulla via giusta si incontra due capoversi più in là, dove viene enunciata la «tesi centrale del libro: è ora di mettere attenzione, più che alle regole del gioco, ai modi di giocarlo»; e qui Bartezzaghi postilla: «Ho la vaga sensazione che questa tesi valga anche a proposito della politica italiana».

Può darsi che non si renda un servizio a Bartezzaghi affermando che La Ludoteca è un magnifico libro di economia politica. Può darsi che molti lettori (ma non quelli del «Sole») se ne scoraggino. Eppure, tutto dipende da cosa si intende con economia e con politica, due parole che, quando è lui a maneggiarle, sono le classiche schegge di selce di chi scopre il fuoco.

Bartezzaghi è tra le pochissime persone che quando parlano di politica risultano ascoltabili. È tra i pochissimi che non fanno gli spiritosi perché spiritosi lo sono, e perché le sue disarmanti e agguerrite constatazioni della realtà non vengono affisse alla pagina ma fatte scorrere, vengono anzi quasi occultate, come (a pagina 26) la seguente frase parentetica dedicata alle vibrazioni che la nostra scrittura inviata per via elettronica provoca sul suo destinatario: «(e che davvero sia il mezzo sia il messaggio sono innanzitutto un massaggio)».

È probabile che la frase si debba leggere due volte prima di poterne cogliere la finezza. In Bartezzaghi il senso dell’opportunità – della proporzione tra serio e ludico – è talmente esercitato da suggerirgli che un ideogramma del genere, che chiunque vi inciampi lo messaggerà o twitterà o whatsapperà ad altri amici propagandone la vibrazione, è così perentoriamente bello da dover essere un poco smorzato («e che davvero»: non è un aforisma, è la coda di un ragionamento cominciato più su), un poco nascosto (dentro parentesi), un poco declassato (le parentesi sono all’interno di una frase che parla di altro argomento).

Se questa prosa si è dotata di ammortizzatori così sofisticati è per una ragione pedagogica tenuta ancora più nell’ombra. Bartezzaghi possiede una spiccata consapevolezza drammatica dello stato delle nostre cose, ma desidera esporla senza drammatizzare; per temperamento, e perché così facendo si comunica meglio, a più individui, per una durata maggiore, lasciando un’impronta che resta.

Sarà ormai chiaro che, in questa Ludoteca così come in altri suoi libri (qui vanno citati perlomeno L’elmo di Don Chisciotte. Contro la mitologia della creatività , 2009, e Il falò delle novità , 2013), «economia politica» è la nostra vita quotidiana dentro la vita quotidiana del mondo: la nostra civiltà perfezionata e disorientata: è Facebook e Foster Wallace, iPhone e Isis, Fantacalcio e ipertesto, SuperEnalotto e selfie e Sanguineti Edoardo. Avendo così completato l’enunciazione del tema, sul libro si potrà eseguire il medesimo esercizio che l’autore proponeva appunto per i giochi: prestare attenzione a come li si gioca, alle partite prima che alle regole, alle forme (compresa la forma del contenitore) prima che ai contenuti: «ogni mossa di gioco rispetta una regola ma non è interamente spiegata da questa regola».

Bartezzaghi è una persona seria che da circa trent’anni scrive sui giochi e, da qualche anno, anche sul gioco, nozione teorica fra le più sfuggenti. Non si prefigge di bloccarla: la vuole descrivere e soprattutto desidera raccontare fatti e idee compenetrandoli, come in questo breve episodio di pagina 81 che è puro Flaiano: «Priolo (Sr). Il sindaco Pippo Gianni, sospeso dall’incarico per una condanna per tangenti, ha giocato al lotto i numeri legati alla sua condanna. Ha vinto 23 milioni, con cui finanzierà il ricorso in appello».

Altra virtù di Bartezzaghi, parlare del passato senza sospirosità. Con il passato Bartezzaghi non intrattiene un rapporto di nostalgia bensì di attenzione. Il passato è un mondo semprevivo, o meglio, che si può riportare in vita grazie a una passione studiosa. Un «Diario dei giochi dell’anno» offre le cronache ludiche del 1998, che fu l’anno del Tamagotchi: e quella data così-lontana-così-vicina è un luogo vissuto di cui si avverte l’odore, ed è allo stesso tempo una semiosfera decodificata con intelligenza veloce.

L’asciuttezza nel parlare del passato implica uno slancio privo d’ingenuità nel guardare al futuro. Altra frase-campione (pagina 39): «L’idea che nel lavoro ci si “realizzi” è infatti molto più diffusa di quanto lo sia mai stata». L’avverbio «infatti» segnala che anche questa volta siamo alla fine di un ragionamento, che potrebbe sembrare deprecatorio sulla situazione attuale del lavoro e del suo mercato (Dio sa se ne mancano i motivi). Il punto è che, nel chiudere quel ragionamento, Bartezzaghi ha il raro guizzo di intravedere un dato strutturale positivo della situazione: il fatto che è aumentato il numero degli individui che fanno il lavoro che amano e che li appassiona: magari sputando rabbia e sentendosi schiavi alla catena, ma lo fanno.

Dedicata al gioco e ai giochi, La ludoteca di Babele è quindi un manuale di stile oltre che un trattato di economia politica della vita quotidiana e planetaria. Bartezzaghi applica alla sua prosa la lezione appresa dall’essenza del gioco: il gioco è un qualcosa che oscilla, che implica innanzitutto uno spazio di manovra, come nell’accezione della parola «gioco» prediletta da Giampaolo Dossena: «in un accoppiamento meccanico, lo spazio che rimane tra le due superfici di accoppiamento». Osservare come Bartezzaghi si ricava i suoi spazi è un piacere aggiuntivo per chi lo legge, ma è il libro in sé a essere costruito secondo leggi di alternanza e di minimo attrito. I capitoli sono quattro, divisi in brevi sottocapitoli. L’indice, collocato in apertura, presenta i temi di ciascun sottocapitolo: un elenco di keywords saltellanti, succulente, lievemente irreali a vederle tutte assieme, che danno al libro la sua temperatura: il discorso ha un’impennata linguistica (un riscaldamento del sangue: significativo il titolo interno «Strategia e passione») ogni qualvolta vengono toccati i giochi di alea cioè d’azzardo, che guarda caso sono gli unici giochi esclusivamente pertinenti a Homo sapiens.

Se il primo, il terzo e il quarto sono capitoli in prevalenza narrativi, l’anima del libro, compatta come l’anima dei bottoni, è il capitolo 2 «La Realtà in Gioco», rassegna delle teorie sul gioco elaborate negli ultimi cento anni: un libro di testo all’interno del libro, pronto per l’adozione universitaria ma pronto pure a lasciarsi comprendere dal lettore di buona volontà, malgrado Jorge Luis Borges – che con due titoli di racconto anni 40, «La lotteria a Babilonia» e «La biblioteca di Babele», ha fornito a Bartezzaghi l’insegna – avvertisse per tempo che «El babilonio no es especulativo».

In quegli elenchi di keywords che anticipano al lettore il contenuto dei trentaquattro sottocapitoli la parola Eco, intesa come cognome di Umberto, compare sette volte, e tre volte ancora, consecutive, nei titoli medesimi dei sottocapitoli, senza contare le citazioni esplicite, di nuovo nei sommari, di opere scritte da Eco o tradotte da Eco. Dopo aver definito La ludoteca di Babele un libro di economia politica non sarà il caso di infierire sulla discrezione di Stefano Bartezzaghi indicandolo come l’allievo di Umberto Eco che ha saputo creare un suo inconfondibile gioco (la definizione spesso implicita delle regole, la conduzione delle partite) apprendendo la lezione del suo maestro con la maggiore scioltezza di gioco (nell’accezione meccanica). Forse è appropriato concludere mettendo come tra parentesi, senza nessuna pretesa di essere spiritosi, il pensiero che «economia» possa significare «legge di Umberto Eco»: un modo di giocare che sa raccontarci chi siamo, al riparo dell’iniziale minuscola.

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Stefano Bartezzaghi, La ludoteca di Babele. Dal dado ai social network: a che gioco stiamo giocando? , Utet, Torino, pagg. 210, € 14; e-book compreso nel prezzo. Il volume fa parte della serie «Dialoghi sull’uomo», diretta da Giulia Cogoli