
Dopo Moving With Pina (2012) e Jessica And Me (2014), due più che riusciti spettacoli autobiografici, concentrati sul suo rapporto con Pina Bausch e il Tanztheater Wuppertal di cui è ancora interprete-ospite, Cristiana Morganti si è fatta da parte. Scegliendo di non danzare, ha ceduto il passo a due ballerine simili, accomunate dalla pelle eburnea, dallo splendore di una giovinezza longilinea, esaltata contro il fondale niveo e sulla scena nuda, ma anche dalle lunghe e folte chiome fulve. Ha così creato un duetto, ancora senza titolo: visto a “Civitanova Danza” (quest’anno prodiga di preziose anteprime), varrà una visita autunnale a Reggio Emila per il debutto definito.
Partita dall’idea di esplorare il sentimento della rabbia nella sua sublimazione in energia positivo/creativa, e dal pensiero di un’identità sdoppiata tra sussurri e grida, messa di continuo allo specchio, la Morganti ha assecondato Breanna O’Mara e Anna Fingerhuth, nobile sostituta di Anna Whesarg (incinta a Civitanova, sarà però a Reggio Emilia) nei loro percorsi a zig zag tra scena e vita. Tutto comincia con una colata di pittura blu sul bianco fondale, segnale dell’importanza dei colori in questa pièce ove ai litigi si somma la femminile rivalità per le tinte sempre sgargianti e persino “ad Arlecchino” di costumi, non a caso variati senza sosta.
Lo scontro oppone le due ballerine, una più composta e incline ad una libertà elegante, l’altra graffiante nel movimento, nella gestualità da ragazzaccia. Le dispute vengono protratte in dialoghi verbali sul corpo, su ciò che è più importante per danzare, ma anche in sovrapposti monologhi in cui da una parte si parla di seduzione, e dall’altra di come salvare una schiena dolente. La neo-coreografa di successo Morganti non rinuncia all’ironia, caratteristica dei suoi precedenti spettacoli, e qui sprofonda con nonchalance anche nel mondo della fiaba e del mistero, donando alle sue danzatrici maschere fulve, volpine. Video ambigui e no - una luna stroboscopica, tanti alberi - assecondano la pièce, o fungono da ideale spartiacque (immagini sfaccettate con animali e una tigre) tra prima e seconda parte, quando competizione e rabbia cedono a più pacate effusioni.
L’avvicinamento, complice la musica di Bach, riporta gli stessi passi dell’alterco dell’inizio, invece su musica techno-rock. Qui però, nel finale, le due “gemelle rivali”, ovvero l’io sdoppiato, si muovono al ralenti, come in un acquario cui si addice anche il silenzio.
Spiccano, nell’originale duetto, assoli di rara intensità: il segno “Bausch” si riconosce anche quando le protagoniste in coppia e in costume écru, sembrano creature impalpabili; le lunghe chiome dirigono l’orchestra delle loro magiche tensioni. Eppure non c’è nulla di epigonale in questa pièce senza titolo: Morganti vince nel linguaggio ambiguo, nella precisione di un confronto altalenante: un soffio, un movimento in più avrebbero potuto farlo vacillare. Ma la danza è repentina, cangiante come i Leitmotive di questa femminile, agra e gentil “tenzone”.
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