Cultura

Il repertorio dei mondi

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MICHEL BUTOR (1926-2016)

Il repertorio dei mondi

Michel Butor (Mons-en-Barœul, Francia, 14 settembre 1926 - Contamine-sur-Arve, 24 agosto 2016) si è spento mentre gli amici s’apprestavano a festeggiarne i 90 anni che avrebbe propiziato egli stesso con una nuova creazione: i testi preparati per accompagnare l’esecuzione delle Goyescas di Enrique Granados (esattamente com’egli aveva concepito il suo Dialogue avec 33 variations de Ludwig van Beethoven sur une valse de Diabelli, 1971).
Con Butor è scomparso l’ultimo artefice, con Italo Calvino, dei “repertori dei mondi”, convinto che la parola dell’artista abbia una responsabilità universale: e tali sono stati gli autori ch’egli ha amato e sui quali ha scritto volumi fondamentali: Rabelais, Montaigne, Balzac, Hugo, Flaubert, Jules Verne, facitori di mondi nell’immenso repertorio della parola umana.

Leo Spitzer dedicò gli ultimi giorni della sua vita all’opera del giovane Butor: erano i primi di settembre del 1960, ricorda commosso Georges Poulet, ed egli era andato a trovare il Maestro a Forte dei Marmi (ove si spegnerà il 16 settembre); e Spitzer lavorava alacremente al proprio tempo, e ne era fiero: ritrovava in Butor un classico: Quelques aspects de la technique des romans de Michel Butor apparve, in francese, in «Archivum linguisticum», 1960-1961. E Spitzer aveva raccolto in una definizione stringente l’arte di Butor: «L’atto di scrivere è una architettura che si compone di strati storici differenti», una costruita e dinamica serie di archi e scarichi per curvare il tempo nello spazio, per erigere un “cronotopo” in cui nulla mancasse di oggettivo e di soggettivo. Spitzer scriveva avendo davanti a sé i primi essenziali romanzi: Passage de Milan, 1954, L’Emploi du temps, 1956, La Modification, 1957; in quell’anno 1960 sarebbe uscito Degrés; poi Michel Butor prenderà altre vie: professore a Ginevra, in una solidarietà feconda con Jean Starobinski, saggista, poeta, collaboratore di musicisti e artisti: inobliabile la sua attività creatrice con Henri Pousseur, in specie nella Vision de Namur. À l’intention de la rose des voix, 1983. E per le arti plastiche, si ricordi almeno: Une nuit sur le Mont chauve di Michel Butor e Miquel Barceló, 2012. Grande amico dell’Italia, ci ha lasciato una vertiginosa Descrizione di San Marco, 1963: «Entrate nella basilica. Cominciate a decifrare le iscrizioni, testo di quest’immenso solido libro ; ne esaminate le illustrazioni, non certo negli specifici dettagli - ci vorrebbero più volumi - ma con un’attenzione sufficiente a far sorgere nella vostra mente tutt’un monumento di storie e di pensieri».

In effetti per Butor scrivere è raccogliere, ordinare e insieme suscitare e scrivere di ciò che si sta suscitando: un gesto di coscienza continua, di responsabilità etica rigorosa; così opera il suo Burton (nel quale Spitzer vede un anagramma dello stesso Butor): «Così io stesso, è proprio annotando ciò che mi pare essenziale nelle settimane presenti, e altrettanto continuando a raccontare l’autunno, che son giunto sino a questa seconda domenica del mese di maggio…» (L’emploi du temps).
Chi abbia conosciuto Michel Butor non lo può disgiungere dall’immagine della sua immancabile salopette, che la moglie Marie-Jo disegnava per lui e cuciva. Va ricordata insieme, nella loro discreta reciproca premura, questa rara coppia di sguardi, di scrittura e fotografia: Michel e Marie-Jo Butor: universos paralelos, Belo Horizonte 2011 (Marie-Jo era scomparsa nel 2010; ma risale al 1986 Lessive pour Marie-Jo).

Le opere di Michel Butor sono raccolte in 12 grandi volumi aux Editions de la Différence; ma molte altre serie di corollari circondano questa inesauribile miniera d’invenzioni. Venne, nel giugno 2008, à Aubervilliers a parlare, ai giovani di quelle banlieues diseredate, dei Mondes utopiques de Jules Verne : fu una lezione memorabile di sapienza e di umanità, dalla quale estraggo i pensieri finali: «Un romanzo di Verne ha provocato uno choc al suo editore Hetzel, ed è Hector Servadac, un libro nel quale una cometa porta via, sfiorando la terra, un bel campionario della società terrestre, ma finisce per ritornare e incrociare nuovamente l’orbita della terra et i ’rapiti’ ritrovano le loro zolle. Ora, questa cometa è fatta di una materia speciale, la “tellurure d’oro”. La tellurure è un corpo che ha il nome della terra, e sappiamo che Jules Verne avrebbe voluto che la sua cometa fosse tutta intera d’oro, ma Hetzel ha preferito un compromesso. A causa di tal massa d’oro, quella cometa ha il vantaggio che l’oro stesso non abbia più valore, perché è divenuto materia comune: e questo ci fa prossimi dell’utopia».
Ecco, l’oro di Butor è la terra che viviamo, ch’egli ha servito e resa più degna e più grande.

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