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Non solo canzonette

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Non solo canzonette

L’Italia più seria è quella che non si prende sul serio, dalla Milano del Derby alla Napoli delle «macchiette», dalle «pasquinate» di Roma alla Bologna del punk demenziale: è questo il giro del mondo musicale nostrano, il “33 giri” di Roberto Manfredi a zonzo per la penisola e per la storia alla ricerca dei talenti della «canzone umoristica e satirica».

La tracklist va «da Petrolini a Caparezza» e si intitola Skan-zo-na-ta, come la luna degli artisti che racconta, tutta gente che «creò osservando ed eternò ridendo». A cura di Alberto Tonti, che firma anche la prefazione, il saggio è un ghiotto divertissement e un agile catalogo, che affastella facce e note, facce note e meteore del firmamento musical-satirico. Dopotutto, nonostante «la canzone umoristica sia sempre stata invisa a parte della discografia nazionale, l’industria italiana del disco è nata ridendo», nel 1895, con ’A risa di Berardo Cantalamessa, il cui ritornello era “solo” una sbrodolata di risate. Oltre al romano Petrolini, maestri del genere furono soprattutto i partenopei, quali Raffaele Viviani, Totò e Renato Carosone. Quest’ultimo, nel libro, è immortalato durante uno spassassimo litigio con Nicola Salerno, alias Nisa, mentre discutono del testo di Comme si’ bello ’ncoppa a stu cammello. Rammenta Carosone: «Io per la metrica musicale dissi che era meglio ’a cavallo a stu cammello. Lui replicò: «Rena’, o iamme a cavallo o iamme a cammello, ti devi decidere». Nutrito è anche il gruppo degli eclettici, ovvero quegli artisti in grado di ibridare e ricicciare felicemente palco e strofe, recitazione e vocalizzi, performance situazioniste e arrangiamenti musicali: vedi Roberto Benigni, David Riondino, Renzo Arbore, Francesco Nuti, Enzo Iacchetti, Claudio Bisio, Gene Gnocchi, Dario Vergassola... Non a caso, la storia della canzone satirica è gravida di generi “bastardi”, come il Teatro della Sorpresa di Rodolfo De Angelis, il Teatro Cabaret di Dario Fo e il Teatro-canzone di Giorgio Gaber.

A metà tra musicisti e «comicanti», menestrelli e giullari, questi istrioni del belcanto scostumato furono spesso perseguitati dalla censura: il fascismo se la prese soprattutto con le «canzoni della fronda» e con il jazz, «la sifilide della musica, una musica afro-demo-pluto-giudo-masso-epilettoide», mentre la Rai democristiana cacciò Fo e I Gufi, denunciati persino per turpiloquio e offesa alla religione dello Stato per aver scritto che Sant’Antonio spedì Satanasso «col culo a mollo». Di battutaccia in battutaccia, si arriva così al rock demenziale degli Skiantos di Freak Antoni, antesignani e rivali di Elio e le Storie Tese. Tra i gruppi figurano, poi, gli altrettanto irriverenti Figli di Bubba (di cui anche l’autore fece parte) e I Brutos, che riuscirono a far ridere pure Elvis Presley. Di comicità più lieve e sorniona sono, invece, Cochi e Renato, la cui Canzone intelligente è l’emblema dei più raffinati trucchi del mestiere: l’autoironia, la parodia dei colleghi, la presa in giro del cantautorato, dell’impegno, della destra e della sinistra. Chi è a digiuno di musica può leggere Skan-zo-na-ta come una raccolta di aforismi muriatici, di motti goliardici, di doppi sensi sessuali, di nonsense, di calembour, di inni alla stupidità, di battute luciferine o surreali, oscene e triviali, dadaiste e pop, blasfeme o sceme, però tutte, deliziosamente scanzonate. Si va dai più famosi autori del genere (Fred Buscaglione, Enzo Jannacci, Rino Gaetano...) agli artisti meno noti, ma non meno divertenti, come Walter Valdi e Vittorio Mascheroni: insomma questo è «un mestiere che bisogna affrontare ridendo, se si vuol concludere qualcosa di serio».

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