Cultura

Pompei vista dai bimbi

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Pompei vista dai bimbi

I genitori staranno in disparte e i bimbi saranno soli con me: questa la condizione posta da Ilaria Marchesi per l’intensa tre-giorni di visite a Pompei e dintorni con quattordici bambini. Un’avventura che è diventata subito un libro, tanto c’era da raccontare e lasciar memoria: un libro a due voci distinte, quella di Ilaria e del consorte Simone, lei classicista all’Università di Hofstra, lui italianista a Princeton. Un libro di riflessioni più che racconti: si narra molto di Pompei e delle reazioni dei bimbi ai luoghi di Pompei, ma le visite hanno suscitato infiniti ragionamenti sul rapporto tra noi e l’antico, e su come l’antico ci aiuta a capire noi stessi. Ed è questo il cuore vero del libro, e ciò che il passato dovrebbe stimolare in tutti noi.

Così si osserva che l’interesse per l’antico è anche un modo per sentirsi a casa in un mondo diverso dal proprio, specie per chi, decenni fa, non aveva le possibilità di fare esperienza dell’altrove dei giovani d’oggi: un incontro speciale con l’altro che ha plasmato intere vite, e in fondo tutte le genti che col passato quotidianamente convivono. Genti che si rivolgono al passato ciascuna in modo diverso, con sguardo sempre forgiato dalle esperienze del presente. Per questo è bello e utile non scavare mai tutto ma lasciare ampi capitoli della nostra storia alle scoperte dei posteri: perché vi leggeranno quel che noi non abbiamo neppure immaginato. E, in fondo, non è entusiasmante pensare a quanto potrà emergere in futuro dalla terra e sentirsi “ricchi in potenza”?

Lo sguardo si posa sui luoghi di Pompei che colpiscono i bambini. Dunque non il foro o i templi, non le domus più famose, ma particolari come le panchine di pietra che ognuno poneva in strada fuori della porta di casa: perché? per chi? Oppure il pane giunto carbonizzato fino a noi, e i forni con le loro macine enormi. E poi, si sa, i bambini chiedono di «pipì e popò»: guardano divertiti i vasi per la raccolta dell’urina fuori dalle fulloniche, e camminano ritti sui marciapiedi perché in strada non si sa cosa potrebbe scorrere. Ammirano stupiti i calchi delle vittime, frutto di una geniale intuizione che le ha trasformate da meri numeri in persone. Imparano i loro nomi che ugualmente parlano delle loro vite in modo inequivocabile. Si stupiscono di fronte alle ricostruzioni dei volti, perché a loro serve toccare con mano l’antico per sentirlo vero. Però attenzione bambini a non proiettare troppo le nostre abitudini nel passato: gli antichi ci assomigliano ma erano anche molto diversi da noi. I bambini hanno capito.

Alla fine scorazzano per l’anfiteatro, dove mettono persino in scena un combattimento gladiatorio. Felici. Ma l’anfiteatro è anche il luogo dove suonarono i Pink Floyd nel 1971, e dove David Gilmour è tornato quest’estate. Il libro è anche un omaggio a quel film-concerto, scandito com’è in capitoli che richiamano le canzoni del concerto. Si ricorda dunque che fu evento senza pubblico, rivolto quasi ai fantasmi del passato. E a differenza di chi oggi insiste nel presentare Pompei come luogo dove scoprire tutta la vita degli antichi, si osserva che Pompei in realtà è tutto, anche «un buon posto per guardare in faccia la morte». Senza sensazionalismi di maniera ma neppure, al contrario, ritrosie. A Pompei ci si specchia su tutto ciò che è umano.

Ilaria e Simone Marchesi, Live in Pompei, Laterza, Roma-Bari, pagg. 144, € 13

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