Cultura

Ritratti nobili di Troubetzkoy

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VERBANIA

Ritratti nobili di Troubetzkoy

Una della sale della mostra dedicata a Paolo Troubetzkoy  allestita  nel Museo del Paesaggio a Verbania-Pallanza
Una della sale della mostra dedicata a Paolo Troubetzkoy allestita nel Museo del Paesaggio a Verbania-Pallanza

Tre anni fa il destino del Museo del Paesaggio di Verbania sembrava segnato. Giudicato inagibile il palazzo gentilizio che lo ospita dal 1914 (cinque anni dopo che fu fondato, con altro nome, da un erudito locale innamorato delle bellezze del Verbano), era del tutto privo dei fondi necessari per provvedere agli indispensabili restauri: si annunciava una fine ingloriosa, e ingiusta, vista la bellezza delle sue collezioni.
Il 25 giugno scorso, invece, concluso un radicale restauro del piano terreno grazie al nuovo Cda (e al sostegno di Compagnia di San Paolo, Fondazione Cariplo, Regione Piemonte e Città di Verbania), il museo ha felicemente riaperto con una mostra curata da Federica Rabai che, nel centocinquantenario della nascita, presenta 150 delle oltre 300 sculture qui conservate di Paolo Troubetzkoy (1866-1938), vero Genius loci di quest’angolo di lago, fitto di suoi monumenti e sculture.

Il nome non deve ingannare: lo scultore, che era figlio di un diplomatico russo di antica nobiltà e di una cantante lirica americana, Ada Winans, era nato e cresciuto sulle rive del Verbano, dove la famiglia si era stabilita, e alla fine di una lunga e fortunatissima carriera volle destinare il contenuto dei suoi atelier di Neuilly-sur-Seine e di Suna proprio al museo di Pallanza: 340 sculture - per lo più gessi, ma non solo - nelle quali rivive il gran mondo cosmopolita che tra ’800 e ’900 animava l’Europa, la Russia, gli Stati Uniti, e del quale Troubetzkoy, nobile, poliglotta e artista allora di tale fama da essere paragonato a Rodin, fu un esponente tutt’altro che secondario.
Ad aprirgli le porte dell’arte erano stati gli Scapigliati, frequentatori assidui di Villa Ada, che era un cenacolo di cultura: Daniele Ranzoni in primo luogo, che ritrasse Paolo bambino con i due fratelli nella lussureggiante serra della villa (il padre era un appassionato botanico), in uno dei più bei ritratti infantili dell’800, conservato alla Gam di Milano. Ma c’erano anche Tranquillo Cremona e Giuseppe Grandi, lo scultore, che apprezzava il suo talento. Da loro mutuò il suo stile più riconoscibile, fatto di tocchi e ditate frementi, che farà accostare la sua scultura all’impressionismo, sebbene poi, all’inizio del ’900, introducesse con grande anticipo forme lisce ed essenziali, quasi pre-déco.

Poiché gli studi non facevano per lui, e nemmeno l’amministrazione delle tenute di famiglia in Russia, dove il padre lo spedì nel 1883, vedendolo però tornare di lì a pochi mesi, nel 1884, diciottenne, era a Milano, allievo dell’ottimo scultore Ernesto Bazzaro e amico dei protagonisti della cultura più nuova, da Luigi Conconi ad Alfredo Catalani, da Luigi Illica a Giovanni Segantini, del quale eseguirà il celebre, turbinoso ritratto, esposto qui nel magnifico bronzo. I ritratti, del resto, erano il suo forte: in mostra ne scorrono moltissimi, tutti segnati dall’impagabile capacità di restituire in un gesto, nel portamento, in uno sguardo, la natura del ritrattato. Come accade nei tre gessi di George Bernard Shaw o in quello di Boldini; nel suo D’Annunzio, epitome del dandismo, al pari del raffinatissimo, estenuato Robert de Montesquiou, e nel fiero, ascetico Tolstoj (da lui Troubetzkoy apprenderà un convinto vegetarianesimo, che gli provocherà però la grave anemia poi causa della sua morte). Ma più di tutti è il principe Lev Galitzin a proporsi come il ritratto di un’epoca: seduto in modo tanto rilassato da apparire quasi scomposto e con uno sguardo a dir poco imperioso, l’uomo incarna al meglio lo spirito della «razza padrona» della Russia prerivoluzionaria, cui tutto, ma proprio tutto, era concesso.

Sono splendide anche le flessuose figure femminili del suo mondo dorato: principesse, granduchesse, ereditiere (Carla Erba, la marchesa Casati Amman, Gertrude Vanderbilt…) e l’amatissima, incantevole moglie svedese Elin, oltre alle danzatrici, di cui restituisce l’elastica grazia. E lo stesso accade con i bambini (il suo unico figlio morì a due anni soltanto) e con gli animali: cavalli e cani specialmente. Dove la sua mano appare meno felice è nei monumenti celebrativi, quando non siano elegiaci come il Monumento ai caduti, 1923, di Pallanza: il suo Alessandro III, eretto nel 1909 a San Pietroburgo (e oggetto di molte polemiche) è greve e un po’ funebre; il controverso Garibaldi (qui il grande, spettacolare bozzetto), presentato a due concorsi, non fu mai realizzato. La mostra si congeda con la ricostruzione dello studio di Neuilly, fitto d’innumerevoli, piccoli bozzetti, in attesa che nella prossima primavera si apra, restaurato, anche il piano superiore, dove troveranno posto la collezione di dipinti dell’800 (degli Scapigliati e di altri maestri del tempo, primo fra tutti Arnaldo Ferraguti, di cui il museo possiede il monumentale Alla vanga) e una preziosa raccolta di opere di Arturo Martini.

150 Troubetzkoy 1866-2016, Verbania-Pallanza, Museo del Paesaggio (Palazzo Viani Dugnani), fino al 30 ottobre

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