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Il velo, origini d’Occidente

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SIMBOLI CONTROVERSI

Il velo, origini d’Occidente

Il burkini, con la polemica agostana e un discusso divieto legislativo (bocciato dal Consiglio di Stato francese in un Comune), si è andato ad aggiungere alle rappresentazioni del velo che abbiamo imparato a conoscere: il niqab, il burqa, il chador, lo hijab.

Vesti a volte castiganti, altre dai colori e dalle stoffe preziose che evocano in ogni caso il mondo musulmano, con il loro corredo di implicazioni religiose e sociali. In realtà la prescrizione alle donne di coprirsi il capo e anche il corpo appartiene alla storia dell'Occidente. Lo spiega Maria Giuseppina Muzzarelli, storica medievista all'Università di Bologna, nel libro A capo coperto, in cui l'autrice ricostruisce l'origine e il percorso dell'uso del velo compiendo una scelta precisa: si sofferma «sulle donne che per secoli l'hanno portato senza essere islamiche, anzi essendo cristiane e proprio perché tali». L'indagine, che parte dal Medioevo e arriva ai nostri giorni, si concentra in particolare sui secoli tra il XIV e il XVII, nei quali il capo coperto era prerogativa delle donne sposate, divisa delle religiose, simbolo del lutto, ornamento delle matrone. Il velo identifica la donna da un punto di vista religioso, va da sé, e sociale, sia per quel che riguarda inizialmente la sua condizione di sottomissione all'uomo sia per la diversa collocazione nella società. Sul primo fronte, il riferimento a San Paolo (e al Tertulliano del De velandi virginis) è d'obbligo: fa sempre sobbalzare il passaggio della prima lettera ai Corinzi in cui si dice che «di ogni uomo il capo è Cristo e capo della donna è l'uomo e capo di Cristo è Dio ..., ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo manca di riguardo al proprio capo... l'uomo non deve coprirsi il capo poiché egli è immagine e gloria di Dio, la donna invece è gloria dell'uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza». Muzzarelli sottolinea, poi, a più riprese come con il passare del tempo si siano moltiplicati i tessuti, le fogge, i ricami, i colori del velo, e l'oggetto in sé si emancipi dal significato di cui è portatore per diventare un accessorio alla moda. «Se le donne non avevano voce pubblica i loro copricapi, spesso vistosissimi, parlavano per loro, sia che li indossassero sia che li producessero, guadagnandosi fama e rispetto con la loro perizia. Gli abiti furono uno dei pochissimi strumenti a disposizione delle donne per comparire sulla scena sociale destabilizzando almeno in parte i rigidi ruoli imposti dal potere maschile», scrive l'autrice. Se ne ha traccia in testimonianze testuali e artistiche, e le splendide Madonne - al pari di altre icone femminili - dipinte da Giotto, Gentile da Fabriano, Botticelli, Tiziano, i fiamminghi lo documentano magistralmente. Teli, bende, ghirlande, cappucci, cuffiette, coni, coroncine, balzi, berretti, fazzoletti, mantelli (Vecellio, alla fine del '500, censisce ben 25 forme di velatura del capo per l'ambiente veneziano): un universo la cui fattura si affina sino a diventare un mestiere vero e proprio. Si capisce, insomma, come nel XX secolo si sia approdati ai foulard di Hermès. Il libro giunge a oggi citando le nuove e sempre più numerose collezioni della «modest fashion», un movimento globale da Dolce&Gabbana a H&M, dedicate alle giovani donne musulmane: stoffe impalpabili e tinte brillanti rendono decisamente più elegante e seduttivo lo hijab che rimane un emblema della religiosità islamica. Anche se, osserva Muzzarelli, «il linguaggio della moda rende palese il paradosso del nascondere per attrarre sguardi vanificando buona parte del suo potenziale misogino».

Resta un “velo” sul velo: il problema dell'effettiva libertà di non portarlo. Che certamente non si risolve con l'imposizione di un divieto dall'alto (per tutte). Le donne musulmane devono trovare la forza e i mezzi per arrivare a poter scegliere. E, se lo vogliono, liberarsi del burkini da sole. Perché oggi, per dirla con le parole di Muzzarelli, «il velo non è un velo e basta, come invece dovrebbe essere per tutte».

Maria Giuseppina Muzzarelli, A capo coperto. Storie di donne e di veli, il Mulino, Bologna, pagg. 216, € 16

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