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Delvoye, il neofiammingo

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Arte

Delvoye, il neofiammingo

«Panem et Circenses II» (1989-1990), vetro, metallo e pitture su smalto,  collezione privata
«Panem et Circenses II» (1989-1990), vetro, metallo e pitture su smalto, collezione privata

Dagli anni Ottanta l’artista belga Wim Delvoye si muove sulla frontiera che separa l’antico e il contemporaneo, l’artigianale e il tecnologico, il nobile e l’impuro, l’arte contemporanea, le arti decorative e la cultura popolare.

In occasione del suo decimo anniversario, il Mudam Luxembourg – Musée d’Art Moderne Grand-Duc Jean ha invitato l’artista a concepire una mostra sui suoi venticinque anni di lavoro. Wim Delvoye ha da sempre un rapporto costruttivo con il Lussemburgo, che lo ha sostenuto attivamente; le sue opere cominciarono ad essere mostrate e acquisite dalle istituzioni del paese dopo la sua comparsa, ancora giovanissimo, alla documenta IX nel 1992. E nel 2006 la commissione per una grande opera, tuttora integrata nel percorso museale, la Chapelle, aveva segnato l’apertura del museo.

La mostra, voluta e curata dal direttore del museo Enrico Lunghi, ha quindi il senso di sancire la continuità e la bontà delle scelte dei dieci anni di esistenza dell’istituzione.

Il percorso occupa i due piani principali del museo ed è articolato in quattro sezioni; L’invention du quotidien raccoglie le prime opere, per lo più ispirate alla tradizione decorativa fiamminga; ci sono, per esempio, pale e assi da stiro che si trasformano in insegne araldiche; bombole del gas e lame di seghe circolari decorate con i classici motivi blu su fondo bianco delle porcellana di Delft; un cantiere composto di barriere, betoniera, strumenti da lavoro e pannelli di segnalazione, tutto realizzato in legno pregiato, finemente intagliato e decorato con motivi ispirati all’architettura gotica; in questi casi, ad entrare in risonanza sono il domestico e l’urbano, il prezioso e il funzionale. La sezione si conclude con l’opera Chantier V: un enorme tubo di canalizzazione dell’acqua, in acciaio grezzo, che poggia su eleganti balaustre in porcellana.

Origines, è legata a uno degli aspetti più noti del lavoro di Delvoye, consistente nel recuperare le origini dell’uomo nella materialità del corpo. L’artista ama rifarsi alla frase di Sant’Agostino inter faeces e urinam nascimur (nasciamo tra le feci e l’urina). Del corpo gli interessano tanto l’involucro esterno, ossia la pelle, quanto le escrezioni: temi ai quali ha dedicato il grande ciclo di opere Cloaca; in mostra ne viene presentata l’installazione principale: uno strumento tecnologico e biochimico che imita il funzionamento del sistema digestivo e che, per l’artista, costituisce un ritratto umano. Come molte opere di Delvoye, Cloaca si offre a diverse interpretazioni, non ultime quelle legate al sistema dell’arte e ai valori che questo veicola: Piero Manzoni docet. Ma si tratta anche di un invito a ripensare le gerarchie mentali: la materia prodotta è, con parole di Delvoye, «quanto di più egualitario». Con lo stesso spirito, indiscutibilmente venato di cinismo ma capace di far emergere tutta l’ambivalenza del nostro rapporto con la corporeità e con ciò che consideriamo “bestiale”, dal 2003 al 2010 Delvoye ha gestito, in Cina, un allevamento di maiali, la cui pelle veniva tatuata con motivi decorativi tratti dalla storia visiva o dalla storia dell’arte e dell’artigianato. Rose, dragoni, dei, teschi alati, Biancaneve in versione trash e numerosi altri motivi popolari hanno così fatto ritorno al museo, tatuati sul dorso di maiali vivi o impagliati. Così, alla sua capacità di affrontare dall’interno i tabù più diffusi, Delvoye deve molta della propria fama.

La mostra prosegue con le sezioni L’Ornement est un Crime e Monuments. Il gesto di ornare, trasformato in processo concettuale, è in effetti all’origine di molto lavoro di Delvoye; che di volta in volta lo applica a oggetti come i macchinari da lavoro o i pneumatici di un tir, o lo intende come reinterpretazione, tra l’artigianale e l’ipertecnologico, di cose del passato, dai grandi simboli religiosi alle sculture accademiche del XIX° secolo. Le sue carrozzerie di Maserati e le valige Rimowa, completamente rivestite di preziosi decori orientali intagliati realizzati da mastri artigiani a Ispahan, in Iran, vanno in questa direzione. E fanno riferimento a un gusto ormai globalizzato. Tra continui cambiamenti di registro, l’ironia domina sovrana, rasentando talvolta il cinismo, ma non si trasforma mai in sarcasmo: che ad essere tematizzati siano l’importanza che attribuiamo agli status symbol, il kitsch e il pop che ci circondano, la ridondanza della decorazione che fa parte da sempre del nostro panorama quotidiano, il rapporto filtrato che abbiamo con il corpo e il fascino discreto che il rimosso, deiezioni comprese, continua ad esercitare su di noi, Delvoye assume ogni cosa con impegno e con serietà. Questo, insieme alla grande abilità di giocare sull’ambivalenza delle cose, conferisce al suo lavoro un carattere destabilizzante.

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