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Sulla via Appia... occhio alla curva!

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Sulla via Appia... occhio alla curva!

 La porta San Sebastiano a Roma da cui parte la Via Appia
 La porta San Sebastiano a Roma da cui parte la Via Appia

A pensarci pare proprio strano: quando si esce da porta San Sebastiano per percorrere l’Appia antica, già pochi metri dopo, all’altezza della chiesa del Quo Vadis, la via piega repentinamente a sinistra. Ma non erano tutte dritte le vie romane? Perché un’eccezione proprio all’inizio della via più importante? La ragione la spiega l’archeologa Rachele Dubbini nel suo studio sul primo miglio della via Appia: un’indagine precisa, rigorosa, affascinante, che si legge tutto d'un fiato con la curiosità di sapere cosa viene dopo, nonostante l'impostazione scientifica della scrittura.

Chiariamo innanzitutto che anticamente le miglia venivano contate a partire dalle porte aperte sulle mura più antiche di Roma, le Mura serviane. Poi la città si è ingrandita ma non si è mai cinta di altre mura, fino ai tempi dell’imperatore Aureliano. E le aree sul limitare del primo miglio sono state sempre considerate zone di confine dove la città si faceva a poco a poco campagna. Zone dove relegare quel che doveva stare “ai margini”, o zone cuscinetto per la protezione della città. Dubbini osserva che ovunque, sulle vie principali di Roma, il primo miglio è segnato da un santuario o da eventi particolari. A maggior ragione sulla Regina Viarum! Lì il primo miglio termina proprio alla chiesa del Quo Vadis, e prima della chiesa si supera la valle dell’Almone che era paludosa e infida: una perfetta terra indistinta di confine.

Proprio in quella palude la leggenda vuole che sia avvenuto l’incontro tra il dio Marte e Rea Silvia, da cui nacquero Romolo e Remo. Il primo miglio della via Appia, insomma, è intimamente connesso con le origini mitiche dell’Urbe. Lì poi si dedicò a Marte un grande santuario, lì i Fratelli Salii scandivano le loro danze sacre, e i giovani romani svolgevano esercitazioni militari per prepararsi a rientrare in città da adulti. Di lì ancora passò il simulacro della dea Cibele quando fece il suo ingresso a Roma, e lì ogni anno si svolgevano riti in suo onore. Sul limitare del miglio, poi, c’era il santuario del dio Redicolo, il dio che proteggeva il ritorno dei romani nella loro città e sovrintendeva alla ricomparsa delle anime dei defunti, e forse non a caso proprio in quel punto Gesù apparve a Pietro e ne arrestò la fuga da Roma: da lì dunque la via Appia non solo vira, ma diventa un’altra cosa.

Dubbini però non si è limitata a indagare il “paesaggio religioso” del primo miglio dell’Appia, ma ne ha anche cercato le tracce archeologiche con ricognizioni sul terreno e “scavi” negli archivi. Facendo una scoperta sorprendente: dalla documentazione di uno scavo di emergenza degli anni Settanta del secolo scorso, ha capito che quell’edificio a due celle con pronao, era addirittura un tempio. Proprio a due passi dalla chiesa del Quo Vadis. Meriterebbe indagare di più ed è ciò che Dubbini auspica, ma conta innanzitutto che il suo studio e la sua scoperta servano a ridare vita a quel primo miglio, oggi trafficatissimo regno di sfasciacarrozze e abusivi. È il tratto più significativo della via, anche se ampiamente devastato nei secoli, e ospita già monumenti importanti come la tomba di Geta o lo scenografico sepolcro di Priscilla. Perché dunque non salvarlo dal degrado e restituirlo a turisti e cittadini? Quella di Dubbini è una battaglia di civiltà. Sosteniamola.

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